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La scuola che vorrei

Gli studenti disegnano il loro ideale b

Si' ad aumenti per merito agli insegnanti, "pagati come dei metalmeccanici", no all'esame di maturita', "meglio un anno preparatorio per l'universita"', un ruolo piu' da protagonisti agli studenti, "stage nelle aziende anche al liceo". E' la scuola "ideale" disegnata dai ragazzi che hanno partecipato allo studio "La Scuola che Vorrei" svolto dai ricercatori dell'Universita' degli studi di Milano-Bicocca guidati Susanna Mantovani, Docente di Pedagogia e Prorettore dell'Universita' e dalla Fondazione Intercultura, presentato oggi a Milano, in cui gli studenti delle superiori indicano la loro idea di scuola, denunciando pregi e difetti dell'istituzione italiana.

Protagonisti, 50 studenti accomunati dall'aver frequentato il quarto anno di liceo all'estero, dagli Usa, al Canada, dai Paesi Scandinavi, alla Germania, dall'Ecuador al Venezuela, dall'India alla Cina, grazie a un programma di Intercultura1 e che quindi hanno una visione comparativa nei confronti della scuola italiana. A loro e' stato chiesto di formulare una proposta di scuola ideale.

"Le idee di questi universitari hanno particolare valore - spiega Mantovani - perche' sono studenti che hanno avuto la possibilita' di sperimentare due diversi sistemi scolastici. Insomma, sono osservatori privilegiati grazie al loro profilo e alle esperienze che hanno vissuto. Hanno infatti potuto osservare 'dall'esterno' il proprio ambiente, acquisendo la capacita' di riconoscerne i tratti culturali che tendono a non essere notati, perche' dati per scontati; allo stesso tempo, possono guardare alla propria cultura e, in questo caso al proprio sistema scolastico, con la conoscenza di chi 'sta all'interno', e quindi sono in grado di proporre cambiamenti al di fuori dei dibattiti convenzionali sui programmi e il percorso scolastico".

Criticati molto duramente da questi studenti, ma anche riconosciuti e rispettati, gli insegnanti rappresentano il punto di partenza da cui costruire la nuova scuola ideale. Basta "con gli stipendi da metalmeccanici e gli anni di precariato che non portano a nulla" altrimenti i professori non saranno mai motivati ad essere piu' preparati, capaci di ottenere rispetto e di far mantenere i giusti ruoli e le giuste distanze.

A loro, rileva lo studio, soprattutto, viene rimproverato di utilizzare metodi monotoni e passivizzanti, considerando gli studenti "non solo come un vaso da riempire di contenuti accademici, bensi' come menti fresche che criticano, si confrontano, analizzano, come succede, ad esempio, negli Stati Uniti".

Ma il progetto di ricerca, durato quasi un anno di lavoro, non si sofferma solo sulla figura dei docenti. La scuola, emerge dalla ricerca, e' trascurata, vecchia e ha molti difetti, ma per chi ha avuto il coraggio e la fortuna di avere anche un'altra esperienza, vederla da un po' di distanza, permette anche di valorizzarne le tradizioni e i pregi. Due le sintesi emblematiche, la prima negativa, la seconda piu' possibilista: "Abbiamo passato tanto tempo nella scuola, ma la nostra vita non era li"' e "La scuola italiana non sarebbe nemmeno tanto male se solo funzionasse".

Ma quali sono dunque i punti di forza e di debolezza della scuola italiana rispetto all'estero? Secondo i diretti interessati di positivo la scuola italiana permette un'equita' di accesso a tutte le classi sociali in scuole di qualita', offre un'ampia cultura generale, stimola i collegamenti interdisciplinari nelle materie umanistiche, richiede impegno e ore di studio, prepara sui fondamenti teorici delle materie, consente forti legami di amicizia, offre spazi di partecipazione e cittadinanza.

L'altra faccia della medaglia? Secondo gli studenti della ricerca la nostra scuola vuole far apprendere troppi contenuti "Voli su tutto, ma non ti fermi mai a pensare. All'estero e' piu' leggera ma esci con qualcosa in testa, da noi esci, hai studiato tante cose, ma ti resta poco perche' non sai perche' ti serve"; induce atteggiamenti poco responsabili: "In Germania non ci sono le giustificazioni: sono piu' liberi e molto piu' responsabili".

Non solo, secondo i ragazzi la scuola italiana e' rivolta al passato in modo asfittico: "Non voglio solo tradurre una frase di Platone, ma poi anche discutere del contenuto, cosa vuol dire e se sono d'accordo"; e' troppo teorica; i metodi di insegnamento sono monotoni e passivizzanti "Forse in Italia si approfondisce di piu', ma in Danimarca gli studenti pensano da soli"; e' punitiva, non premia e non motiva: "In Svizzera riconoscevano gli sforzi e ti incoraggiavano"; e' spesso fatiscente, sporca e poco attrezzata; e' autoreferenziale e poco collegata col territorio, il mondo del lavoro e quello universitario; ha bassa stima dei giovani; pone al centro i programmi, non gli studenti; e' noiosa.

La ricerca si e' infine concentrata sull'elaborazione di una proposta concreta de "La Scuola che Vorrei", motivata dalla presa di coscienza delle deficienze della scuola italiana e dal confronto con quella straniera del Paese che li ha ospitati per un anno.

Tra le pecche della scuola italiana segnalate dagli studenti innanzitutto la sua durata. Diversamente da molti altri Paesi europei e non solo, dove il ciclo di studi e' di 12 anni, il nostro ne dura 13, uno di piu'. In altre parole: cosi' entriamo nel mondo del lavoro un anno dopo. La proposta: un unico percorso scolastico che offra la possibilita' di scelta o di approfondimento nell'ultimo biennio o triennio e che preveda che l'ultimo anno sia di transizione all'Universita' o al mondo del lavoro: "L'ultimo anno di preparazione all'universita' potrebbe evitare le tantissime bocciature alle facolta' con test di accesso o le scelte sbagliate".

In base all'esperienza all'estero, dove la rotazione delle classi e' una normalita', emerge una proposta concreta, quella della scelta e costruzione da parte dello studente del piano di studi: la scuola che vorrei deve strutturarsi, almeno a partire dal triennio, per il 60% del calendario con materie obbligatorie e nel rimanente 40% con quelle a scelta, organizzate con un sistema di crediti.

A sorpresa, gli studenti indicano tra le materie obbligatorie, oltre a un italiano che permetta di sapere scrivere, alla matematica e all'informatica ("Vogliamo studiare 'Con il' computer, non 'Il' computer"), all'inglese (meno letteratura, piu' conversazione), si insinuano anche lo sport (come "palestra fisica ed etica"), la geografia mondiale ("Non solo fisica, ma politica, culturale, ambientale"), la storia contemporanea ("Altrimenti, chi ci aiuta a guardare al nostro presente e al futuro?"), l'educazione civica e alla vita democratica ("Siamo cittadini del mondo!").

Tra le materie a scelta vengono indicate, tra le altre, 'Le' religioni (non solo quella cattolica), l'ecologia, le lingue extra-europee, l'economia e il diritto, la musica, la fotografia, il teatro, e si', anche il latino e il greco. Da non perdere un periodo di studio all'estero, come chiave di volta per una scuola che voglia aprirsi al mondo e le attivita' extrascolastiche come parte della vita scolastica ("Scuola come luogo di vita, come nei campus americani").

Dalla quantita' alla qualita'. Senza ridurre il numero di materie, anzi la loro varieta' e ampiezza e' un punto di forza della scuola italiana, tuttavia emerge dal confronto con l'esperienza all'estero che i nostri programmi vanno coordinati meglio rispetto alla durata del calendario: "Non si possono fare 40 volte i Sumeri e poi leggere a casa, a scuola finita, della Guerra Fredda!", vanno collegati molto di piu' al presente, liberati dal giogo della completezza e dal mito dell'enciclopedismo ("In Germania il professore ha fatto tre, quattro lezioni di presentazione del quadro storico del Medio Evo, poi noi abbiamo sviluppato delle tesine specifiche") e soprattutto sprovincializzati, allargati alla realta' del mondo ("La scuola italiana e' molto autocentrata culturalmente, ma neppure ti trasmette un forte senso di identita' nazionale").

Per quanto riguarda gli insegnanti, secondo lo studio di Inatercultura, "dovrebbero diventare una categoria ammirata e rispettata dalla societa', sono coloro che hanno in mano l'educazione delle generazioni future, invece si trovano anche per colpe loro ma non solo, considerati alla stregua di qualsiasi impiegato pubblico".

La soluzione offerta dai ragazzi e' quella di un insegnante piu' giovane, colto, rigoroso: l'insegnante della scuola ideale, preparato culturalmente e rigoroso, deve apprendere a saper essere un interlocutore, allenatore e counsellor. In altre parole, un adulto coerente e un modello di condotta, capace di relazioni equilibrate, appassionato, che valorizza i giovani, colto e comunicativo.

Da non sottovalutare, infine, la formazione dei docenti: "Oltre alla laurea dovrebbero partecipare a un corso di uno, due anni per imparare ad insegnare", un sistema di valutazione della didattica, attualmente piu' diffuso nelle universita', una riforma della modalita' di selezione e reclutamento, con un sistema misto di concorsi e assunzioni dirette da parte degli istituti e che consenta di far carriera.

Fondamentale, infine, la valutazione che deve essere rigorosa ma prevedibile, chiara nei criteri e articolata. L'incoraggiamento e il riconoscimento degli sforzi sono una forza potente per spronare ad impegnarsi e per valorizzare il merito "In Italia se sei bravo, sei uno sfigato mentre all'estero sei considerato un modello".

Le proposte concrete: valutazioni su prove orali derivanti da dibattiti, non nozionistiche; valutazione su prove scritte argomentate e discusse in precedenza, un esame di maturita' su tutte le materie ma a meta' anno per poi concentrarsi su una tesi finale che metta in luce le capacita' individuali. Si' infine al voto di condotta: "E' giusto che chi non si sa comportare in modo civile venga penalizzato: nel mondo del lavoro chi non si sa relazionare o crede di comportarsi come vuole ha vita breve".

"La realizzazione di questa ricerca grazie alla collaborazione con l'Universita' di Milano-Bicocca - ha affermato Roberto Ruffino, segretario generale della Fondazione Intercultura - ci ha soddisfatto molto, perche' e' un'iniziativa che si inserisce perfettamente nel progetto della Fondazione Intercultura: aiutare le nuove generazioni ad aprirsi al mondo e a vivere da cittadini consapevoli e preparati in una societa' multiculturale".