di Mauro Caputi
L’arena di Verona lo ha incoronato dopo 15 chilometri di cronometro senza scosse. I vari Evans e Vinokourov, più forti di lui nella specialità, erano troppo indietro in classifica generale per poter recuperare su un tracciato così breve. Per Ivan Basso è stata una passerella fra due ali di folla in tripudio. Una pedalata dietro l’altra pregustando l’arrivo a braccia levate, senza bisogno di guardarsi indietro. O forse il varesino si è guardato indietro. Indietro, magari alla 13.ma tappa, a Cesenatico, con la classifica generale che lo relegava al 17° posto, a 11’39” dalla maglia rosa in quel momento sulle spalle del giovane e bravo australiano Richie Porte. Poche le soddisfazioni per il varesino fino a quel momento. Molte di più per la sua squadra, la Liquigas (vincitrice della cronosquadre), e per il compagno Vincenzo Nibali, per tre giorni in maglia rosa.
La 14.ma tappa, da Ferrara ad Asolo, con l’arrampicata sul Monte Grappa, ha segnato la svolta. L’inizio della rimonta, l’incipit della cavalcata. La frazione è andata a Nibali per distacco, mentre Basso ha regolato Michele Scarponi nello sprint per il secondo posto. Ricordiamoli questi nomi, perché li ritroveremo più avanti. Intanto, ad Asolo, la maglia rosa passa da Porte allo spagnolo Arroyo e Basso scala la classifica fino al’11° posto, portandosi a 7’43”. Il giorno successivo comincia il capolavoro. La 15.ma tappa parte da Mestre, per chiudersi sulle rampe del Monte Zoncolan dopo 224 chilometri. Il varesino la fa sua staccando in salita Cadel Evans, Alexandre Vinokourov e Carlos Sastre, i principali favoriti alla vittoria del Giro. La maglia rosa resta sulle spalle di Arroyo, giunto al traguardo a quasi 4’ da Basso. Ma il distacco è ora ridotto a 3’33” e il portacolori della Liquigas è terzo in classifica generale.Un giorno di riposo per ricaricare le batterie prima della settimana conclusiva. Basso sorride e dichiara: “Ho la squadra più forte”. Sarà buon profeta. Si ricomincia con la cronoscalata di Plan de Corones, 12,9km con un dislivello di oltre mille metri e pendenze che arrivano al 24%. E’ la giornata di un grande Stefano Garzelli che trionfa e rifila 42” all’iridato Cadel Evans, favorito che si deve accontentare della piazza d’onore. Basso è sesto (fa meglio di lui il compagno di squadra Nibali, quarto) a 1’10”, ma quel che conta è che recupera 1’06” alla maglia rosa. Ora il distacco è di 2’27”. C’è anche il secondo posto in classifica generale, per quello che può contare. Il giorno successivo c’è la Brunico-Peio Terme, 17.ma frazione con arrivo in salita e il Passo della Palade a 70 km dal traguardo. Un’occasione per attaccare, ma la strategia ha la meglio: le tossine degli ultimi giorni potrebbero farsi sentire, meglio preservare le gambe e la squadra. Stesso discorso per la 18.ma tappa, in realtà disegnata apposta per dare l’ultima possibilità ai velocisti. Occasione colta al volo dal tedesco Greipel che regola il gruppo sul traguardo di Brescia. La classifica generale, per quel che riguarda i migliori, resta immobile.
Venerdì la resa dei conti. Fra Brescia e l’Aprica (arrivo in salita) ci sono tre GPM, fra cui il passo del Mortirolo. Chi ne ha deve attaccare. Arroyo, Evans e Vinokourov perdono le squadra fra la prima salita all’Aprica e quella di Trivigno. All’attacco del Mortirolo sono da soli, mentre la Liquigas è compatta. Basso arriva sulla cima ‘scortato’ da Nibali e Kiserlovsky con un paio di minuti su Arroyo. Lo spagnolo non demorde e si lancia all’inseguimento in discesa, ricucendo più di un minuto e riprendendo prima Evans e poi Vinokourov, che avevano fatto meglio di lui in salita. Un’impresa eroica che si spegne non appena la strada ricomincia a salire. Basso ha sempre Nibali al suo fianco. Il siciliano, diligentemente, lo guida in discesa, un punto debole del varesino, è gli dà i cambi quando serve. Basso avrebbe potuto staccarlo in salita, ma sceglie di abbassare il ritmo per non privarsi del prezioso apporto del compagno. Inoltre, già sulla salita del Mortirolo, trova anche la collaborazione di Scarponi. Alla fine la tappa viene lasciata al marchigiano, con Basso e Nibali alla sua ruota (si modificano i piazzamenti, ma i tre sono quelli di Asolo). Quel che conta è il distacco di Arroyo, che giunge a più 3’ dopo aver più volte battibeccato con Vinokourov e poi con Evans che non ne volevano sapere di dare i cambi per tirare l’inseguimento ai tre battistrada. Ora la maglia rosa è di Basso, con 51” su Arroyo e 2’30” su Nibali. Evans, Sastre e Vinokourov sono lontani.
La ventesima tappa riserva la cima Coppi (il punto più alto del Giro) sul Gavia a 2.618m. Il maltempo minaccia il percorso, tuttavia le condizioni sono abbastanza buone. Basso deve difendere per la prima volta il simbolo del comando e la squadra si dà da fare. Comincia il polacco Szmyd, poi è la volta di Vanotti, poi c’è l’onnipresente Nibali. La Liquigas resta in testa al gruppo, l’Astana di Vinokourov e la Bmc di Evans sono decimate dai ritiri. La Caisse d’Epargne di Arroyo è quasi integra, mentre lo è del tutto la Cervelo di Sastre. Attaccano però solo i capitani (non Arroyo, sempre marcato) che superano di poco il minuto di vantaggio sulla maglia rosa. Gilberto Simoni (a 39 anni) prova a conquistare da solo la cima Coppi, ma viene beffato dallo svizzero Tschopp, che poi, in solitaria, vince la tappa. Basso, con calma e metodo, riassorbe tutti i fuggitivi, tranne Evans, e chiude la frazione al terzo posto, cedendo la miseria di 13” (fra distacco e abbuono) all’australiano e guadagnandone altri 24” su Arroyo, staccato nella salita verso il Tonale. L’epilogo a Verona, dove ha chiuso la sua splendida carriera Gilberto Simoni (con arrivo in camicia e cravatta fra gli spettatori in standing ovation). La cronometro non è pane per i denti di Arroyo, che difatti perde altri 36” dal varesino, 15° nell’ordine di arrivo. Evans e Vinokourov fanno meglio, ma si tratta di spiccioli. Vincenzo Nibali rintuzza l’ultimo assalto di Scarponi e sale sull’ultimo gradino del podio. Per Ivan Basso è il secondo successo al Giro, dopo quello del 2006. Pochi mesi dopo il varesino finì nel vortice dell’Operacion Puerto e dei due anni di squalifica che ne seguirono. Sono passati quattro anni. Anche per questo valeva la pena di voltarsi indietro in vista del traguardo.