di Sandro Calice
LA BELLA SOCIETA’
di Gian Paolo Cugno, Italia 2009 (Medusa)
Raoul Bova, Maria Grazia Cucinotta, Enrico Lo Verso, Giancarlo Giannini, Antonella Lualdi, Franco Interlenghi, David Coco, Marco Bocci.
Bisogna avere uno sguardo profondo e sereno per raccontare la storia di una famiglia siciliana dalla fine degli anni ’50 agli anni ’80, intrecciando vicende personali ed eventi collettivi, per fare un’operazione alla Tornatore o alla Giordana, insomma. Ne “La bella società”, Cugno questo sguardo non ce l’ha avuto.
Giuseppe (Coco) e Giorgio (Bocci) sono due fratelli adolescenti che vivono con la bella madre Maria (Cucinotta) in un paese dell’entroterra siciliano all’inizio degli anni ’60. Sono orfani, il padre è scomparso anni prima, e hanno due sole cose da difendere: la madre, della quale sono gelosissimi, e i campi di grano che lavorano duramente per sopravvivere. Il loro amico del cuore è Nello (Lo Verso), lo sfaccendato figlio del ricco farmacista (Giannini) da sempre segretamente innamorato di Maria. Un giorno da Roma arriva nel paese una troupe cinematografica della quale fa parte Romolo (Bova), che resta folgorato da Maria e ne diventa l’amante. Giuseppe e Giorgio non possono accettarlo e faranno un gesto estremo che cambierà le vite di tutti. Romolo scompare, Giorgio perde la vista e Giuseppe diventa la sua guida. Già adulti, i fratelli vanno a Torino, dove un luminare potrebbe guarire Giorgio. E qui si scontrano col terrorismo, con gli scioperi, ma anche con l’amore. Tornano in Sicilia cambiati, ma il passato ritorna nei panni del padre di Romolo, vecchio e disperato, alla ricerca non di risposte, ma solo di un luogo dove dare l’ultimo saluto al figlio. Il vecchio e la donna di cui Giorgio si è innamorato faranno saltare tutti gli equilibri della famiglia.
La storia è questa, e non sarebbe neanche male. Il problema è che Cugno, qui al suo secondo lungometraggio dopo “Salvatore, questa è la vita”, non riesce a dare epicità al racconto, mettendo insieme una serie di luoghi comuni e stereotipi e appoggiandoli su una sceneggiatura banale. A poco vale la presenza di grandi attori, come Giannini, purtroppo persi anche loro in una narrazione artificiosa e semplicistica fatta per accostamenti invece che per sviluppo. Per fare qualche esempio: il mistero di Romolo che resta sospeso per troppo tempo, creando fastidio più che suspence; la psicologia altalenante dei personaggi, le donne orpello, tranne ovviamente quella “libera” del nord; la protesta dei contadini più sit-in di qualche rompiscatole comunista che lotta di classe. Ma soprattutto: si possono raccontare oltre vent’anni di storia della Sicilia senza nemmeno accennare all’esistenza della mafia? A noi è sembrato imbarazzante. Ad ogni modo, “La bella società” è stato riconosciuto film di interesse culturale nazionale e ha ottenuto i fondi del ministero per i Beni e le Attività culturali. Così è se vi pare.