Domenica prossima, 29.170.867 etiopi sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Si vota in collegi uninominali a turno unico: si aggiudica il seggio il candidato più votato, anche se ottiene la maggioranza semplice.
Gli analisti sperano, a vent'anni dal ritorno alla democrazia, che il voto possa finalmente definirsi pluralista al 100%.
La campagna elettorale è stata un susseguirsi di accuse e denunce di violenze e intimidazioni tra il governo e gli avversari. Tuttavia, il solo fatto che l'opposizione vi prenda parte, rende il voto quasi un'anomalia per l'Africa.
Le elezioni del 2005 furono vinte dall' Eprdf del premier Meles Zenawi, al potere dal 1991, che ottenne 327 dei 547 scranni, con un calo netto di 154 seggi rispetto al voto del 2000. Dopo la proclamazione dei risultati, scoppiarono contestazioni e disordini che furono violentemente repressi, lasciando sul campo centinaia di vittime.
Il cammino verso la democrazia iniziò nel 1991, quando la rivoluzione guidata dal ribelle tigrino Meles pose fine al regime del "terrore rosso" guidato dal dittatore Menghistu. Oggi un consolidato sistema federalista garantisce ampi poteri alle 9 province del Paese.
I riflettori della campagna elettorale sono puntati sullo sviluppo economico (cavallo di battaglia del governo) e sul rispetto delle libertà democratiche (tema caro all'opposizione). Anche la collaborazione con l'Occidente nella lotta globale al terrorismo, tradottasi nell'invasione della Somalia del 2006, è oggetto di dibattito tra i partiti.
Non sono da meno i rapporti con l'Eritrea, un tempo inglobata nel Paese. Le tensioni tra Addis Abeba e Asmara scoppiarono nel 1970 con un sanguinoso conflitto, sfociato nella separazione consensuale del 1993. In seguito, i due Paesi condussero due guerre per la definitiva demarcazione dei confini.
A 9 giorni dal voto,l'Etiopia ha firmato con altri 3 Paesi un accordo per la gestione delle acque dell'Alto Nilo che ha irritato Egitto e Sudan.
In base ai trattati del 1929 e del 1959 questi ultimi due Stati contano sull'87% delle acque del Nilo e devono dare un nulla osta vincolante ai Paesi situati a monte che vogliano compiere qualsiasi opera sul fiume.
L'Etiopia è assurta a capofila dei Paesi contestatari delle vecchie intese, convincendo Tanzania, Ruanda e Uganda a chiedere la ridefinizione delle quote, e facendo del nuovo accordo uno dei temi della campagna elettorale.