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I gusti di ”Leopardi a Tavola”, raccolti dalla tradizione napoletana

RAVIOLI AL SUGO DI POMODORI


Ingredienti  per 4 persone:

200 g ricotta vaccina, 

100 g macinato di vitello, 

200 g parmigiano, 

500g farina 00,

4 uova, 

1 cipollina,

½ bicchiere vino bianco, 

1kg pomodori pelati, 

1 ciuffo basilico, 

1dl olio EVO, 

sale, pepe q.b. 

 

Procedimento:

Con la farina e le uova preparate una pasta elastica che lascerete riposare per circa mezzora. In una padella ammorbidite la cipollina e in essa passare il macinato regolando di sale. Aggiungete la carne alla ricotta con 100g di parmigiano e 1 tuorlo d'uovo. Con il composto preparate i ravioli, cuoceteli in acqua, saltateli in padella con il sugo di pomodoro e basilico e servite.

 

Il Leopardi dei monzù

 

Chi fosse in realtà Giacomo Leopardi è ancora oggetto di riflessioni non solo storiche, letterarie ed accademiche ma anche audiovisive e gastronomiche almeno; la ricerca sulla sua figura infatti, con il saggio “Leopardi a Tavola” (2008) di Domenico Pasquariello “Dego” e Antonio Tubelli si è estesa oltre i sensi della vista e dell’udito, anche nel gusto… Insomma imbattersi in Leopardi è mettere il piede in un complesso di emozioni, sentimenti, stimoli sinestetici… Come è noto Leopardi è uno dei più grandi poeti della storia umana; le sue parole rimangono scolpite dentro la memoria; quando le cogliamo in forma di poesie offrono quel tocco di infinito che apre un istantaneo spiraglio nell’animo espandendolo nel tempo e nello spazio, oltre la sostanza stessa del pensiero che lo accompagna, con un originale sentore malinconico, leopardiano. Succede così quando l’immensa bellezza della nostra cultura millenaria si manifesta e si mescola con il talento, l’arte, la poesia.

 

In tale imprendibile, caotico universo s’innesta la particolare ricerca di Antonio Tubelli, che incontra un Leopardi inedito durante la rilettura di alcune note leopardiane contenute nello Zibaldone custodito nella biblioteca nazionale di Napoli. Nel documento c’era una lista autografa, dei 49 suoi piatti preferiti. Antonio e Dego approfondiscono l’argomento andando a cercare altri spunti che facciano venire alla luce quella caratteristica misconosciuta del poeta, molto più legata ai piaceri della vita di quanto emerga dalla visione scolastica che tutti hanno di lui. Un aspetto emerso nell’ultima fase della esistenza di Leopardi, quando egli si era trasferito per motivi di salute in una villa alle pendici del Vesuvio. I due ricercatori scoprono che quel senso del gusto il poeta lo aveva espresso molte volte, nei rapporti epistolari con la sorella Paolina, e anche con l’amico Antonio Ranieri al quale non mancò di lodare le capacità gastronomiche del monzù Pasquale Ignarra che cucinava per lui quegli stessi piatti. Ora dovete sapere che i monzù erano i capocuochi delle case aristocratiche nel meridione d'Italia. La parola è napoletana e deriva dal francese monsieur, "signore". Non ce ne sono rimasti molti oggi; Antonio Tubelli è uno degli ultimi monzù. Forse proprio l’ultimo vero monzù: un artista della cucina che sa trasferire in un piatto non solo la tecnica di trasformare i prodotti ma anche le emozioni che prova nella sua quotidianità, similmente a come farebbe uno scultore con il marmo. Dunque con la cultura, la delicatissima sensibilità, il talento e l’ingegno che lo contraddistinguono, solo un vero monzù può comprendere, almeno in parte più correttamente, la ricchissima storia che c’è dietro l’elenco autografo che Leopardi ci ha lasciato riportando le ricette dei piatti preparati da Ignarra, un vero monzù: la lista diventa così una stele di Rosetta con cui decifrare e prendere contatto con un aspetto dell’universo sensoriale di Giacomo Leopardi, quello del gusto. Antonio e Dego per coglierlo vanno sul colle dell’infinito a Recanati, alle pendici del Vesuvio, dove si coltivano i prodotti necessari a cucinare quei piatti, dove il maestrale fa inalare il profumo del mare, dove la salsedine si mescola allo zolfo e alla cenere sospesi nell’aria come le vite a contatto con il fuoco del vulcano attivo, dove all’imbrunire la meravigliosa baia di Napoli e le isole si fondono con il sole al tramonto accompagnandolo in un tuffo oltre l’orizzonte… Sensazioni intense, evocate da quella lista di immaginifiche ricette che Leopardi godette grazie all’arte culinaria di Ignarra. Riproducendole, guardandole, assaggiandole, contemplandole, Antonio ha sentito, toccato, percepito quel raffinatissimo messaggio che Leopardi ci ha lasciato redigendo la sua lista, perché qualcuno prima o poi la cogliesse. Antonio lo ha fatto e questo è il suo racconto (video).

 

 

Leopardi a tavola 

Lo chef Antonio Tubelli, storico della tradizione culinaria partenopea e studioso degli usi e costumi e a tavola degli italiani, ha raccolto una serie di ricette desunte e realizzate sulla base delle preparazioni scritte dal grande poeta di Recanati quando si trovava a Torre del Greco. Cucinava i piatti preferiti di Leopardi il grande Monzù Pasquale Ignarra conosciuto a Firenze, esule con Antonio Ranieri; Ignarra, amico militante di Ranieri si dedicò al benessere alimentare dell'amico Giacomo nella tenuta padronale di Giuseppe Ferrigni, che in seguito diverrà Villa delle Ginestre, dove il poeta trascorse l’ultima stagione della sua esistenza.

 

 

 

Lo chef Antonio Tubelli

Nell'arte culinaria del popolo napoletano sono visibili le tracce del suo passato proprio come nel dialetto. Antonio Tubelli segue queste tracce e le fa ripercorrere a tutti coloro che hanno la fortuna di assaggiare la sua cucina. I suoi imperativi sono qualità, tradizione e contaminazione perché la ricchezza della cucina napoletana nasce anche dalla capacità di accogliere ed interpretare le correnti che l'attraversano. Così fu a Napoli nei secoli XVIII e XIX quando i capocuochi delle case aristocratiche si fregiavano del titolo francesizzante di “Monzù”. Antonio Tubelli cucina nel quartiere Chiaia, cuore della Napoli storica.