Far comprendere il complesso fenomeno del bullismo a persone adulte è spesso un compito molto difficile. A differenza dei giovani, al solo pronunciare la parola gli adulti assumono atteggiamenti di minimizzazione o esagerazione a seconda delle esperienze vissute durante l’infanzia. Purtroppo, il ricordo di quanto esperito in giovane età incide molto sul comportamento di chi si trova ad affrontare un’azione di bullismo messa in atto da un moderno teenager. L’approccio è infatti sovente dettato dalla memoria che spesso, avendo per autoprotezione generato un falso ricordo, porta l’adulto a minimizzare o esagerare il contesto e/o l’azione su cui è invece necessario intervenire. Il primo errore che si commette quando oggi si parla di bullismo è proprio ricordare il bullo del secolo scorso: un ragazzino prepotente e di indole cattiva che si divertiva facendo dispetti e si azzuffava con tutti per dimostrare la sua superiorità. Molti genitori chiamano bullismo quelle azioni che un tempo si definivano “bravate” anche se di bravo e di bello non avevano proprio nulla. Va inoltre evidenziato che, a differenza del fenomeno attuale, quei comportamenti erano gestibili in quanto limitati in un arco temporale e geografico ristretto che non ammetteva la parola “vittima”. Il termine è molto dirimente perché distingue il bullismo vero e proprio dalla bravata, un comportamento scusabile, un’azione limitata e in via di principio non punibile. In sostanza, declassare un’azione bulla a bravata significa non riconoscere la vittima in quanto tale e sminuire la portata della condotta violenta ritenendola non condannabile. È ancora molto viva la consuetudine di consigliare a chi viene preso di mira da un bullo di reagire con coraggio e controbattere colpo su colpo oppure lasciar perdere facendo finta di nulla, a dimostrazione di superiorità, educazione, saggezza, maturità. Comportamento quest’ultimo assimilabile a quello di uno struzzo che preferisce nascondere la testa nella sabbia per non vedere e non sapere. Perché il bullismo contemporaneo è un fenomeno che non può sposarsi al detto “occhio non vede cuore non duole” in quanto ha invaso la vita digitale dei teenager che nella vita reale vivono un malessere invisibile e impalpabile fatto di silenzi, falsi sorrisi e rabbia latente, pronta ad esplodere all’improvviso come un mostro affamato di tragedie. Sono sempre più i ragazzi annientati dal comportamento di adulti che hanno sottovalutato o minimizzato il fenomeno liquidandolo a mera bagatella mentre invece assumeva le dimensioni di una catastrofe.
Ma che cos’è oggi il bullismo? Perché se ne parla continuamente? E soprattutto, continuare a parlarne ingigantisce ed esagera i comportamenti aggressivi al punto da farli rientrare nella fattispecie di reato?
Il vocabolario definisce bullismo quel comportamento spavaldo, arrogante e sfrontato che si accompagna ad un atteggiamento di abuso attuato nei confronti dei più deboli attraverso violenze fisiche e psicologiche. Una singola azione non può essere definita bullismo. Il fenomeno diventa tale quando viene perpetrato nei confronti della medesima persona in modo costante e ripetuto nel tempo attraverso comportamenti che degenerano nella violenza fisica (percosse e lesioni personali) e nella violenza psicologica (denigrazione, offese ed umiliazioni).
Nel processo di instaurazione di questa dinamica di abuso, nel gruppo di adolescenti in cui prende forma si delineano, nella maggior parte dei casi, figure dai tratti simili in cui non è sempre facilmente distinguibile il carnefice - malvagio, tormentatore, insensibile – dalla vittima, scelta dal suo aguzzino per quelle caratteristiche fisiche, sociali, culturali, etniche, psicologiche percepite come facile bersaglio per assumere la leadership del gruppo.
La combriccola può definirsi attiva o passiva in base alla condotta che assume nei confronti della vittima poiché il bullo agisce per il gruppo o con il gruppo a seconda dello scopo che intende raggiungere con l’azione che compie.
Va considerato bullismo anche il comportamento di sottomissione operato dal bullo nei confronti della vittima non riducibile ad una singola azione, come per esempio uno sgambetto giornaliero per generare una fragorosa risata nel gruppo. Il bullismo più aggressivo ha tante sfaccettature comprendenti angherie piccole e grandi: da un lato ci sono le umiliazioni (come il lancio di palline di carta, sputi, sgambetti), dall’altro i maltrattamenti e le aggressioni vere e proprie che sfociano in reato, punibili dal Codice Penale (ad esempio l’estorsione ed il ricatto). Tendenzialmente, quando la vittima ovvero la “parte offesa” subisce soprusi annoverabili nella categoria dei reati si sente oppressa e incapace di reagire, al punto da isolarsi fino a rendersi fisicamente invisibile e a compromettere il proprio equilibrio psicofisico. Purtroppo, questi tentativi di sfuggire agli attacchi fisici non sono risolutivi perché il bullismo moderno ha trovato terreno fertile nel mondo virtuale diventando cyberbullismo, fenomeno che attraverso l’uso della tecnologia accresce il danno psicofisico della vittima.