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IL FLAMING

 

La legge per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del cyberbullismo promulgata nel maggio 2017 fa rientrare nel fenomeno un lungo elenco di azioni e manipolazioni psicologiche che sfociano in reati civili e penali. Nel suo manifestarsi il cyberbullismo attua contestualmente più azioni illecite che vanno a colpire la persona vessata e tra le varie condotte una delle più praticate è quella del FLAMING, un battagliare ostile e pressante caratterizzato dall’invio di messaggi violenti e volgari verso un partecipante del gruppo, un grido aggressivo che parte da un utente (flamer) per INFIAMMARE la community e incitarla alla rissa contro un individuo specifico.

 

Questo comportamento lo si ritrova non di rado nelle comunità virtuali dei giochi online ed è tipico di un giocatore che non accettando la sconfitta dà sfogo alla rabbia istigando gli altri a delle vere e proprie guerre di insulti, le cosiddette flame war. Per dare fuoco alle polveri il flamer cerca di attirare l’attenzione disturbando ripetutamente la vittima presa di mira con insulti sempre più pesanti sino a provocarne la reazione. La rabbia che a lungo andare esplode in chi ne è colpito avvia un processo di messa in ridicolo che in breve calamita nel suo gorgo i commenti divertiti degli altri, vera e propria benzina buttata sul fuoco dell’umiliazione.

 

Va evidenziato che nel linguaggio digitale il contenuto offensivo è spesso costituito da immagini, emoji, sticker o gif il cui significato è sovente comprensibile soltanto dai membri gruppo e pertanto l’azione illecita è di difficile dimostrazione in quanto nascosta dietro simboli ritenuti innocui e scherzosi. Di fatto il flaming viene riconosciuto e catalogato come tale soltanto quando la sostanza della chat è un insulto chiaro e diretto altrimenti la messa in ridicolo viene derubricata a innocua presa in giro.