In Italia la legge stabilisce la possibilità per gli adolescenti di iniziare a lavorare a 16 anni, dopo aver assolto l’obbligo scolastico. Chi lavora prima dell’età legale consentita rischia di compromettere il proprio percorso educativo e di crescita. Ciò nonostante, il lavoro minorile continua a crescere, in linea con la diffusione di una nuova povertà. A dimostrarlo sono i dati dell’indagine di “Save the Children” intitolata “Non è un gioco”. Secondo stime accreditate il 6,8 per cento della popolazione italiana tra i 7 e i 15 anni – 336mila minorenni – hanno avuto esperienze di lavoro continuative, saltuarie o occasionali. Quasi un minore su 15. E circa 58mila adolescenti hanno dichiarato di aver svolto compiti particolarmente dannosi, in orari notturni o in condizioni di insicurezza.
I settori prevalentemente interessati dal fenomeno sono: la ristorazione, la vendita al dettaglio, le attività nei campi o in cantiere, i servizi di cura alle persone. Ma fanno il loro ingresso anche nuove forme di sfruttamento online, come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi. Circa 1 minore su 2 lavora più di 4 ore al giorno. Oltre la metà degli intervistati afferma di aver iniziato dopo i 13 anni, il 6,6 per cento prima degli 11. A essere coinvolti sono soprattutto i maschi che vivono nelle aree rurali; in aumento anche il numero dei ragazzi immigrati, circa il 5,7 per cento. Tra i motivi che li spingono a intraprendere questa strada prevalgono il desiderio di autonomia economica e la necessità o la volontà di offrire un aiuto materiale ai genitori.
Preoccupante il rapporto tra lavoro minorile, dispersione scolastica e illegalità. Quasi 1 minore su 3 lavora durante i giorni di scuola e quasi il 5 per cento salta le lezioni per farlo. Non a caso, la percentuale di alunni bocciati durante i percorsi di istruzione secondaria di 1° o di 2° grado è quasi doppia tra chi ha lavorato prima dei 16 anni rispetto a chi non ha mai lavorato. E non mancano le conseguenze negative sui comportamenti sociali: buona parte dei giovani presi in carico dai Servizi di Giustizia Minorile risulta aver lasciato le aule prima del tempo, per esercitare una attività lavorativa. In risposta a urgenze economiche o insuccessi personali. Vincoli che alimentano senso di estraneità, insoddisfazione, sfiducia.