di Rodolfo Ruocco
Sette voti, solo sette voti di maggioranza al Senato. A Montecitorio gli esperti fanno i conti: dopo l’addio di Silvio Berlusconi alle larghe intese, il governo Letta può contare su una maggioranza di piccole intese con appena sette voti di margine a Palazzo Madama.
Tuttavia il presidente del Consiglio è fiducioso, non vede spine nelle piccole intese. Respinge le analisi nere: “Sono convinto che ora la maggioranza è più forte, è più mite e più coesa”. Ha citato i numeri con i quali è passata la fiducia chiesta dal governo al Senato sulla legge di Stabilità: 171 sì contro 135 no. Ha contestato Forza Italia: “I numeri sono tutt’altro che risicati, sono quelli che aveva Berlusconi nel 2008”. Così ha confermato gli obiettivi. Anzi, vuole accelerare “il percorso” delle riforme economiche e istituzionali del suo “governo di necessità”, per arrivare come programmato fino al 2015.
Questa è una brutta settimana per Berlusconi. Martedì 26 novembre ha abbandonato la maggioranza di larghe intese con Pd e Scelta Civica e mercoledì 27 novembre il Senato ha votato la sua decadenza da senatore, dopo la condanna in Cassazione per frode fiscale. Ma il leader di Forza Italia, adesso fuori dalla maggioranza e fuori da Palazzo Madama, non mollerà. È più combattivo di prima: “Non ci ritireremo in qualche convento, noi siamo qui, restiamo qui, resteremo qui”. Ha ribadito la sua innocenza. Ha attaccato Pd e Movimento 5 Stelle che “brindano” al “loro nemico di fronte ad un plotone d’esecuzione” e ha promesso battaglia. Parlando ad un gruppo di suoi militanti ha garantito: “Vi do appuntamento al primo giorno della prossima campagna elettorale”. Nel mirino del Cavaliere sono in molti: il Pd, il Nuovo Centrodestra (Ncd) di Alfano, le piccole intese che sorreggono il governo Letta. Il punto debole sul quale punterà sono i margini stretti della maggioranza Pd-Scelta Civica-Ncd a Palazzo Madama. Quando a fine dicembre la legge di Stabilità tornerà al Senato, dopo le modifiche fatte dalla Camera, la battaglia sarà infuocata. Sulla riforma della legge elettorale, altro scoglio sulla navigazione dell’esecutivo Letta-Alfano, si preannuncia un’altra lotta cruenta.
Basta poco per provocare in Parlamento la crisi di governo ed andare a votare. Matteo Renzi scalpita. Con una intervista al Corsera preme su Letta: “Oggi il governo delle larghe intese è saltato con il ritiro di Forza Italia e Berlusconi” e ora “bisogna dare una svolta. Bisogna fare finalmente le cose che servono”. Dal potenziale nuovo segretario del Pd arriva un avvertimento: è possibile fare le riforme anche con una maggioranza più stretta “sennò…finish”. E si aprirebbero le porte alle urne. Un altro che vuole andare a “votare subito” è Beppe Grillo, fondatore dei cinquestelle. Berlusconi, Renzi, Grillo: ora sono tre i leader carismatici al di fuori del Parlamento e pronti ad una infuocata campagna elettorale. Letta rischia di finire in una morsa. Aprile sembra il mese nel quale si potrebbero celebrare le elezioni politiche anticipate.
C’è chi dà per finito Berlusconi, l’uomo che dal 1994 ha dominato la scena politica italiana dal governo o dall’opposizione, ma la cautela è d’obbligo. Winston Churchill, il primo ministro britannico che sconfisse nazismo e fascismo, diceva: “In guerra puoi venire ucciso una sola volta, in politica tante volte”.