di Carla Toffoletti
“Grazie, non merito tanto. Mi fa piacere vedervi così numerosi, ma non aspettatevi nozioni profonde su Verdi”. Inizia così al Costanzi di Roma la lezione-concerto di Riccardo Muti sull’Ernani di Giuseppe Verdi, che aprirà il 27 novembre la stagione dell’Opera. Appuntamento ormai atteso per i fan del maestro, che ama spiegare e raccontare l’autore italiano per eccellenza, sul finire del 200esimo anniversario dalla nascita.
“Siamo in presenza di un autore classico per troppo tempo tradotto come “verista”, spiega il più prestigioso e applaudito interprete verdiano, ”la musica dei testi antichi è un’utopia. L’uomo di oggi non è più l’uomo ai tempi di Vivaldi, non è l’applicazione di alcune formule che può riproporre lo stile esecutivo. Noi possiamo solo interpretare, perché la musica cambia nelle diverse generazioni”. Insomma la musica come trasposizione di messaggi che cambiano nel tempo. Ma c’è una cosa irrinunciabile che dà il senso a tutta la serata e su cui Muti insiste per celebrare Verdi: la fedeltà al testo, che per l’autore è stata fondamentale, come testimoniano le sue lettere. “Questo non significa riprodurre fedelmente – insiste Muti- ma cercare attraverso le note dell’autore una verità che va al di là delle note, verità che è puro spirito, intuire l’orizzonte che sta dietro quelle note, senza cambiarle, senza stravolgerle”. Si rivolge al pubblico: “Non abbiate paura di non capire, ognuno di noi può vivere la musica come sensazione del messaggio musicale, ma non come comprensione”. E citando Dante nel Paradiso:”Il canto degli Spiriti ideali è un canto sublime, che ci rapisce pur senza comprendere, e il rapimento è proprio dello sprovveduto uditore che poco sa di musica”.
Poi passa al piano per descrivere l’Ernani, opera poco eseguita ed estremamente difficile dal punto di vista vocale, rappresentata nel 1844 a Venezia. “Verdi ha sempre avuto un rapporto con la letteratura, ed Ernani nasce dall’omonimo dramma del 1830 di Victor Hugo, innovativa e burrascosa all’epoca per il suo romanticismo”. Con quest’opera, spiega il maestro, Verdi si allontana dal mondo drammatico oratoriale di Rossini, e da quello preromantico di Bellini, per affrontare l’analisi dei personaggi. Tutto il primo atto è centrato su questo: una serie di quadri sui personaggi che costruiscono una scena drammatica. Dal punto di vista musicale il primo grande passo di Verdi verso il futuro (Traviata, Rigoletto ,Trovatore). Come un pifferaio magico Muti incanta il pubblico trasportandolo nell’opera, nei suoi intrighi, dal “pegno mortale” tra Silva ed Ernani del prologo, alla luce dell’amore segnato dal “do maggiore, al canto dei banditi e dei ribelli (‘beviam, beviam ,nel vino cerchiam almeno un piacer, che resta al bandito, da tutti sfuggito, se manca il bicchier?)”. E il pubblico applaude estasiato. Poi il coup de théatre finale. ”In questo teatro, tanti anni fa, qualcuno sottolineò l’importanza di evitare tagli non voluti dall’autore, e di eseguire le opere così come sono state scritte, io - dice Muti - da allora sono un suo seguace”.
Si spengono le luci e sullo sfondo del Costanzi appare uno splendido Sordi giovanissimo in “Mi permette, babbo!”, nei panni di Rodolfo, giovane con velleità di cantante , ingaggiato per una sola serata nella piccola parte del Dottor Grenvil ne “La Traviata”. Dopo aver creato problemi nelle prove, Rodolfo esegue, nella disapprovazione generale, la frase "La tisi non le accorda che poche ore" abbassandola di un'ottava, arrivando a toccare il “Do grave”, e inoltre canta, avanzando al proscenio mentre il sipario si chiude alle sue spalle, la frase: «È spenta!», non prevista in quanto, pur presente in partitura, tradizionalmente omessa fin dalle prime esecuzioni dell'opera. Succede di tutto: gli altri interpreti, il direttore d'orchestra e quello del teatro si indignano, mentre i familiari e gli amici credono che abbia avuto un gran successo. Aveva infranto un costume, un’abitudine, che passa sotto il nome di “tradizione”.