di Rodolfo Ruocco
Alle volte da un particolare marginale può spuntare il quadro di una drammatica realtà. Il palazzo della Pinacoteca nazionale di Bologna ospita in queste settimane anche una mostra fotografica sul lavoro industriale. Si susseguono alle pareti decine di foto di operai, di tecnici, d’impianti industriali di tutto il mondo. Ci sono fotografie di fabbriche francesi, tedesche, olandesi, spagnole, statunitensi e sudafricane. Ci sono perfino delle foto sull’estrazione dell’uranio in una miniera del Niger.
E l’Italia? In mostra ci sono solo due fotografie: una del Lingotto, l’impianto ex Fiat di Torino chiuso da tempo; la seconda dell’Italsider di Napoli, il centro siderurgico smantellato da decenni. Non sono più stabilimenti industriali, ma ex fabbriche con una gloriosa storia alle spalle. Sembra l’immagine dell’Italia: il Belpaese si sta deindustrializzando. Viene in mente l’allarme di Giorgio Squinzi. La penisola, negli ultimi 5 anni della Grande recessione, ha visto chiudere molte fabbriche ed ha perduto il 25% della sua capacità produttiva, ha denunciato il presidente della Confindustria.
Enrico Letta da aprile, quando nacque il suo governo di larghe intese, pose la “priorità” dell’occupazione e della crescita economica, ricordando le potenzialità dell’Italia e la sua “medaglia d’argento” per essere ancora la seconda economia manifatturiera dell’Europa. Il presidente del Consiglio il 2 ottobre scorso, quando ottenne la fiducia bis dal Parlamento, dopo le dimissioni dei ministri del PdL, rilanciò l’emergenza lavoro e competitività delle imprese. Precisò: “Spero veramente in un cambio di passo” dell’esecutivo, “un cambio di passo vero e reale”. Cioè: basta “risse”, minacce di crisi di governo, di battaglie stile “sangue ed arena”.
Letta ora punta a realizzare il programma di governo: già nella legge di Stabilità economica per il 2014 punta a ridurre “il cuneo fiscale”, cioè le imposte sul lavoro. Dovrebbero essere stanziati circa 5 miliardi di euro per tagliare il costo del lavoro. Gli obiettivi sono tre: far arrivare più soldi in busta paga ai lavoratori, migliorare la competitività delle aziende, far crescere l’occupazione, soprattutto quella giovanile (i ragazzi senza lavoro sono arrivati al record di 4 su 10, la disoccupazione ha superato il 12%).
“Il cambio di passo”, però, riguarda anche altri gravi nodi: l’immigrazione clandestina, lo scontro giustizia-politica, le riforme costituzionali, la nuova legge elettorale per le politiche. Letta vuole dare una risposta alle emergenze del paese e riscoppiano i contrasti. Il braccio di ferro con Berlusconi e il PdL , diviso tra “falchi” e “colombe”, è praticamente su tutto: dove e come reperire i fondi per combattere la disoccupazione, quali strategie adottare per impedire l’immigrazione clandestina e l’ecatombe di disperati che muoiono nei naufragi (sì o no all’abrogazione della legge Bossi-Fini), come dovrà votare (scrutinio segreto o palese) l’assemblea del Senato sulla proposta di decadenza del Cavaliere dal seggio (è stato condannato in Cassazione per frode fiscale), quale indirizzo dare alle riforme costituzionali (governo parlamentare o semipresidenziale, legge elettorale maggioritaria bipolare o proporzionale).
E negli ultimi giorni, come se non bastasse, lo scontro si è allargato anche sul messaggio di Giorgio Napolitano alle Camere sulle condizioni incivili dei detenuti nelle carceri sovraffollate. Molti contestano l’invito del presidente della Repubblica a valutare l’amnistia e l’indulto, c’è chi vi scorge “una ambiguità” per salvare Berlusconi dal carcere. Le critiche vengono soprattutto al M5S, ma anche da alcuni settori del Pd. Matteo Renzi, giovane e probabile nuovo segretario del Pd, parla di “un autogol” e precisa: anche “la legalità è di sinistra”. Il sindaco di Firenze avverte: “Se il governo farà bene, noi lo sosterremo”.
Letta difende a spada tratta Napolitano: il suo messaggio “non contiene ambiguità”, è “il miglior presidente che potremmo avere”. Ripete: la legge va sempre rispettata, i problemi giudiziari di Berlusconi e il governo sono due questioni separate, “che non si sovrappongono”.
Il presidente del Consiglio “è determinatissimo” ad andare avanti fino al 2015, assicurando stabilità politica, affrontando e risolvendo le emergenze dell’Italia. Ma arrivare al 2015, passando per la guida del semestre italiano della Ue (scatterà il prossimo luglio), sarà un percorso ad ostacoli. Letta è stretto tra le “turbolenze” del presidente del PdL e quelle del sindaco “rottamatore” del Pd. Salvo imprevisti, Renzi trionferà nelle elezioni primarie per conquistare la segreteria del Pd . C’è chi ricorda un brutto precedente per chi siede a Palazzo Chigi. Walter Veltroni vinse le primarie alla fine del 2007 e divenne il primo segretario dei democratici; all’inizio del 2008 cadde il governo di Romano Prodi, l’inventore dell’Ulivo e del Pd. Dopo appena due anni, si tornò a votare. Renzi assicura lealtà a Letta. Precisa: “Non facciamo un congresso per capire quanto dura il governo. La vita di un esecutivo dipende dalle cose che fa”.
La difficile rotta del presidente del Consiglio resta fissa sul 2015. Ennio Flaiano, giornalista e scrittore dalla penna acuminata, diceva: “Ci sono molti modi di arrivare, il migliore è non partire”. Non è il caso di Letta. Dopo le elezioni politiche di febbraio senza vincitori e una lunga crisi istituzionale, il presidente del Consiglio guida da quasi 6 mesi un travagliato esecutivo di grande coalizione. È “un governo del presidente”, voluto e appoggiato da Napolitano per affrontare “lo stato di necessità”.