di Rodolfo Ruocco
Alle volte una preghiera può salvare la vita e un governo. Fino a dieci giorni fa Enrico Letta correva sul filo del rasoio della crisi di governo. Il presidente del Consiglio domenica 29 settembre, lasciando un convegno della Comunità di Sant’Egidio a Roma, disse tra il serio e l’ironico: “Noi ce la metteremo tutta perché siamo determinati, ma lasciatemi dire che se vi scapperà qualche preghiera, in questi giorni, per l’Italia, sarà gradita”.
Qualcuno deve aver pregato: l’esecutivo Letta si è salvato. Mercoledì 2 ottobre il Parlamento ha confermato la fiducia al governo a larghissima maggioranza. Ha votato a favore, a sorpresa, anche Silvio Berlusconi, decisissimo fino a poco prima ad affondare “il governo delle tasse” e del suo “assassinio” politico; ottenendo al più presto le elezioni politiche anticipate (l’obiettivo erano le urne a novembre). Letta, però, non è stato abbattuto e ha definito “un giorno storico” la sconfitta del Cavaliere. Il presidente del PdL, imbarazzato, ha annunciato tra lo stupore nell’aula del Senato: “Abbiamo deciso non senza interno travaglio di esprimere un voto di fiducia”. Il presidente del Consiglio, incredulo, si è lasciato sfuggire: “Grande!”.
La giravolta è stata inaspettata. Lo spauracchio era la scissione del PdL, con 50-60 parlamentari dissidenti, tra deputati e senatori, decisi a sostenere il governo di larghe intese e ad impedire le elezioni anticipate. Perfino Angelino Alfano, il suo delfino, segretario del PdL, si era unito ai dissidenti definendosi “diversamente berlusconiano”. Alfano, come gli altri dissidenti contesta la “deriva estremista” del presidente del PdL, considerato prigioniero dei “falchi”. Fabrizio Cicchitto, mente delle “colombe”, è arrivato a definire Alfano “il futuro leader del centrodestra” al posto del Cavaliere.
Tuttavia il sì in extremis di Berlusconi al governo per ora alleggerisce l’assedio, ma lo lascia in un angolo. Alfano conterà nell’esecutivo e Berlusconi no. Letta è stato netto: “Questa maggioranza politica coesa è diversa da quella numerica”. Il vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno è nella maggioranza politica, il presidente e fondatore del PdL in quella numerica, i suoi voti sono aggiuntivi e non determinanti per la vita dell’esecutivo. Per essere ancora più chiaro il presidente del Consiglio ha aggiunto: “La maggioranza ci sarebbe stata lo stesso” anche senza Berlusconi. E ha avvertito: “Basta con le risse” e con le lotte stile “sangue e arena”, scoppiate soprattutto dopo la condanna del Cavaliere in Cassazione per frode fiscale, decisione che ha aperto la porta alla sua decadenza da senatore.
È il trionfo della moderazione, dello spirito centrista. Letta, di matrice Dc, mentre parlava alla Camera chiedendo la fiducia, aveva accanto Alfano e Franceschini, altri due uomini di origine scudocrociata. Tre ex Dc: Letta e Franceschini nel Pd e Alfano tra i dissidenti del PdL. Sta emergendo una consonanza centrista che potrebbe mutare gli equilibri politici..
Letta, chiedendo la fiducia alla Camera, ha ribadito il valore della stabilità politica, ora sempre messa pericolosamente in discussione. Non è sempre stato così. Ha ricordato il periodo d’oro della Prima Repubblica: “Dal 1946 al 1968, tre presidenti del Consiglio hanno governato per la maggior parte del tempo e i benefici li conoscono tutti gli italiani”. Sono stati gli anni della Ricostruzione dalla guerra persa dal fascismo, dello sviluppo democratico, del boom economico. Era l’Italia ad egemonia Dc guidata da De Gasperi, Fanfani e Moro.
La situazione è in movimento. Mario Monti, tecnico-centrista, deciso sostenitore di Letta e fautore della costruzione di “un governo di legislatura”, ha già lanciato il sasso. Il presidente di Scelta civica, parlando al Senato, ha indicato la strada di “una collaborazione” tra le forze centriste, tra “un pezzo del PdL guidato da Alfano e un pezzo del Pd guidato da Letta”. Berlusconi rischia di essere stritolato da una morsa centrista.