di Rodolfo Ruocco
Un governo di grande coalizione ha sempre una navigazione difficile: mette insieme degli avversari storici per affrontare l’ingovernabilità di un paese. Nel caso dell’Italia l’impresa diventa quasi impossibile perché l’esecutivo di Enrico Letta da cinque mesi naviga attraverso due tempeste: i gravi problemi economici nazionali e i guai giudiziari di Silvio Berlusconi, il presidente del PdL, il secondo partito della maggioranza di larghe intese.
Dal primo agosto, da quando il leader del centrodestra e proprietario della Fininvest è stato condannato in Cassazione per frode fiscale, è arrivato l’allarme rosso per “il governo di servizio”. Letta ha rischiato la crisi con cadenza quasi quotidiana. La tensione, via via, è diventata altissima. Una scossa ad alta tensione per l’esecutivo. L’infarto è quasi arrivato quando mercoledì 25 settembre i parlamentari del PdL, mentre Letta era a New York a caccia d’investimenti americani in Italia, hanno annunciato le dimissioni di massa, solidarizzando con il Cavaliere che rischia la decadenza da senatore dopo la condanna della Cassazione.
Berlusconi, nell’assemblea dei gruppi parlamentari del PdL di mercoledì, ha giocato duro. Ha ribadito la sua innocenza e ha tuonato facendo quasi saltare tutto: “C’è in atto una operazione eversiva da parte di Magistratura democratica che mina lo Stato di diritto”. Ha accusato gli alleati di governo, in particolare il Pd. La sinistra “ha una ideologia criminale, e spera di avere campo libero ora per eliminarmi”.
Lo scontro politico è degenerato quasi in crisi istituzionale con il presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano ha definito “una scelta inquietante” le dimissioni di massa dei parlamentari e “grave e assurda” l’idea di “un colpo di Stato”. Letta, in grande sintonia con il capo dello Stato, ha usato la clava: il PdL “ha umiliato l’Italia”.
Il presidente del Consiglio è immediatamente corso ai ripari. Venerdì, appena tornato a Roma dagli Stati uniti, ha avviato la verifica di governo. Ha parlato con Alfano, Epifani e Monti, i leader di PdL, Pd e Scelta Civica. Ha avuto un lungo incontro al Quirinale con Napolitano. Alla fine ha deciso di realizzare un doppio chiarimento: il primo nel Consiglio dei ministri con il PdL e il secondo in Parlamento. La prima verifica è andata male. L’intesa non c’è stata nel Consiglio dei ministri. Nella rovente riunione di venerdì notte a Palazzo Chigi sono saltati tutti i provvedimenti economici all’esame (in particolare le misure per ridurre il deficit pubblico italiano sotto il 3% del Pil e l’azione per evitare l’aumento dell’Iva dal 21% al 22%).
Adesso la sfida finale tra Letta e Berlusconi sarà in Parlamento. Il presidente del Consiglio, sostenuto da Napolitano, è deciso ad andare avanti. Intende realizzare un chiarimento “senza se e senza ma”. Chiederà alle Camere, probabilmente martedì, la fiducia su un programma centrato sulla legge di Stabilità economica e sulla riforma elettorale. Ma vuole proseguire il suo lavoro anche nel 2014. Nel prossimo giugno spetterà all’Italia la presidenza di turno dell’Unione europea e Letta non vuole mancare a quell’appuntamento.
Anche negli Stati uniti ha insistito sulla necessità di garantire la stabilità politica per “agganciare” la ripresa economica internazionale e combattere la grave disoccupazione soprattutto giovanile. Se Berlusconi voterà ancora la fiducia all’esecutivo bene, altrimenti Letta potrebbe percorrere altre strade. Si parla di “un governo di scopo” sostenuto da Pd, Scelta Civica e dissidenti del centrodestra. Alla Camera Letta ha una salda maggioranza anche senza il PdL, al Senato invece mancherebbero 14 voti in caso di rottura con il Cavaliere. Ma sia nel PdL e sia nel gruppo di Gal (Grandi autonomie e libertà) ci sarebbero diversi senatori pronti a votare la fiducia.
Berlusconi teme l tenaglia giudiziaria. Venerdì 4 ottobre la giunta delle elezioni di Palazzo Madama potrebbe votare la sua decadenza da senatore. Così alza il tiro. Sempre venerdì si terrà una manifestazione di solidarietà del PdL a Roma con lo slogan: “Siamo tutti decaduti”. L’ex presidente del Consiglio è angustiato: “Non dormo da 55 giorni, non posso passare per uno che ruba agli italiani, per me è insopportabile”. Teme di perdere l’immunità parlamentare con la decadenza da senatore. In questo caso ha paura che possano scattare degli ordini di arresto da varie Procure della Repubblica contro di lui (per i processi a Milano, Napoli, Bari).
E’ stretto tra i “falchi” e le “colombe” del partito. I primi premono per la linea dura: vogliono far cadere il governo per andare alle elezioni politiche anticipate. Le “colombe” vogliono continuare ad appoggiare l’esecutivo spuntando dei risultati sul piano dell’”agibilità politica” di Berlusconi e su quello economico (taglio delle tasse e ripresa economica). Aggiungono: Napolitano, in caso di crisi, non concederà il voto anticipato e nascerà un altro governo. Fabrizio Cicchitto invita alla prudenza ed indica una possibile soluzione: rinviare alla Corte costituzionale la legge Severino sull’incandidabilità dei condannati con sentenza definitiva.
Nel frattempo piovono le brutte notizie. La Borsa di Milano ogni giorno va giù, mister spread ha ripreso a colpire. Il differenziale tra i Btp italiani decennali e i Bund tedeschi venerdì si è impennato a 265 punti (era sceso fino a 230) e il costo per pagare gli interessi sul debito pubblico è più salato. Perfino lo spread spagnolo va meglio di quello italiano. La disoccupazione è aumentata al 12%, la produzione industriale arranca.
L’instabilità politica, aveva avvertito Letta, ha un costo economico pesante. I poteri forti, dal Fondo monetario internazionale alla Confindustria, chiedono stabilità politica per non buttare a mare i sacrifici fatti dagli italiani negli ultimi due anni. Perfino i vescovi italiani reclamano la stabilità. “Quando l’uomo non ha più freddo, fame e paura è scontento”, diceva Ennio Flaiano, corrosivo giornalista e scrittore. Figuriamoci se c’è la fame e la paura del futuro.