di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)
Ry Cooder and Corridos Famosos – Live in San Francisco (Nonesuch)
Ry Cooder, sessantaseienne musicista californiano, è un turista per caso, un divertito viaggiatore della musica. Ma anche del corpo, che ha usato per attraversare i molti (non) luoghi che gli hanno fornito il materiale sonoro per mettere in piedi il suo incredibile repertorio, le cui radici più lontane affondano nel tex-mex, nella musica messicana e in quella cubana. Famoso per aver creato le suggestioni di “Paris, Texas”, il film di Wim Wenders del 1984, e per aver firmato altre celebri colonne sonore (tra le tante: “I cavalieri dalle lunghe ombre” e “I guerrieri della palude silenziosa” di Walter Hill, “I colori della vittoria” di Mike Nichols), Ry Cooder è arrivato al successo planetario con il progetto “Buena Vista Social Club”, che ha fatto riemergere dall’oblio la musica cubana, grazie a un’allegra banda di inossidabili vecchietti. L’amore di Cooder per le musiche “altre” è sempre stato un misto di ammirazione e curiosità, e i suoni provenienti dal border lo hanno sempre intrigato più della media. Questa volta è bastato varcare il confine a El Paso, attraversare Juarez e assorbire quel tanto che basta di “Messico e Nuvole” per mettere su un’orchestrina da festa di paese. Due anni fa, in un vecchio locale da poche centinaia di posti, il Great American Music Hall di San Francisco, Cooder ha tenuto un’allegra session con i suoi Corridos Famosos, dei quali fa parte, oltre ai fidi Flaco Jimenez e Terry Evans, anche il figlio Joachim, raffinato batterista . Alle loro spalle, il gruppo di fiati messicano della Banda Juvenil. In quel teatro Cooder e Jimenez avevano già suonato 35 anni fa, ai bei tempi dell’analogico. Chissà se è stata la semplice nostalgia, oppure il desiderio di ritornare al suono vintage, a spingerli a ricreare la stessa atmosfera dell’epoca. Registrazione analogica, due microfoni rivolti verso la band e due verso il pubblico, ed ecco il salto indietro nel tempo, con il sonoro che ricorda quello dei migliori bootleg. L’impressione è quella di trovarsi all’interno di una balera dei Casadei per la festa del paese. Una big band sul palco, e la gente che balla a passo di mazurka. L’album è inconsueto per il gusto italiano, poco avvezzo alla malinconia messicana e alle chitarre dilatate da deserto sud-statunitensi. Ma non c’è solo Messico in questo concerto. Ci sono il Woody Guthrie di “Vigilante man”, c’è il Leadbelly di “Goodnight Irene”, insomma c’è un mondo di musica che pesca nella tradizione americana, che parte dalla Florida e arriva alla California attraversando Louisiana, Texas e New Mexico , correndo accanto allo steccato del confine, e che lega con un filo rosso la musica dei padri e dei figli, il folk, il blues, il country, il cajun, lo zydyco, la salsa, la rumba e il son cubano. Insomma un universo di “redneck” che attraverso la musica mantiene viva la propria storia e la propria cultura di gente del sud. Album splendido, malinconico e festaiolo, che piacerà agli estimatori del Buena Vista e ai puri di cuore.
Dana Fuchs – Bliss Avenue (Ruf Records)
In questi ultimi anni c’è stata una proliferazione di giovani songwriters al femminile (Laura Marling, Caroline Keating, Rachel Sermani), tutte dedite alla contemplazione mistica della terra e del cielo e all’introspezione personale. Per cui ben venga questa rockeuse sudista (Florida) trapiantata nella Grande Mela, dove da giovanissima cominciò a frequentare i locali blues, luogo d’incontro con il suo mentore, il chitarrista Jon Diamond, già con Joan Osborne. Due anni di immersione nel blues più viscerale le diedero modo di costruirsi una voce potente e graffiante, che ricorda molto da vicino la più famosa Beth Hart e quindi, per analogia, Janis Joplin. Tanto che i produttori del musical “Love Janis” le chiesero di interpretare il ruolo della protagonista, che fu già di Beth Hart. Il che attirò le attenzioni del pubblico su di lei, e non solo. L’industria del cinema la volle nella parte di Saxie Sadie in “Across the universe” di Julie Taymor, a cantare le canzoni dei Beatles. Due album in studio e un live a New York di difficile reperibilità costituiscono il suo patrimonio discografico. Adesso arriva il terzo cd, “Bliss avenue”, sempre con Jon Diamond alle spalle, autore di tutte le canzoni. Non tutto l’album è perfetto, non siamo ai livelli di Beth Hart e Joe Bonamassa, ma la via maestra i due l’hanno comunque imbroccata. Ci saranno dettagli da sistemare, arrangiamenti da affinare, spigoli da smussare. Ma il grezzo promette bene, basta lavorarlo a dovere. C’è molto rock-blues e molto soul in questo lavoro, c’è l’Hammond e il R&B con i coretti gospel (“Livin’ On Sunday”), c’è Springsteen (“Daddy’s little girl”) , ci sono i CCR (“Keep on walkin’) e perfino, a guardare lontano, gli Zeppelin (“Long long game”). Insomma, i capelli rossi d’ordinanza ci sono, la voce roca e imbevuta di bourbon anche, il rock-blues mainstrean pure, tutto lascia sperare che Dana Fuchs esca dall’anonimato. Intanto, va ad arricchire l’allegra truppa delle rockeuse a stelle e strisce. Che male non fa.