Venezia 70


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Le terrazze di Algeri

E Scola racconta Federico Fellini ettore_scola_venezia_296

di Sandro Calice

“Les Terrasses” dell’algerino Merzak Allouache chiude la lista dei film in competizione alla 70ma Mostra del cinema di Venezia. Fuori concorso c’è “Unforgiven” di Lee Sang-il, remake de”Gli spietati di Clint Eastwood, ma soprattutto il documentario di Ettore Scola “Che strano chiamarsi Federico – Scola racconta Fellini”.

LES TERRASSES

di Merzak Allouache, Algeria-Francia 2013, drammatico
Fotografia di Frédéric Derrien
con Adila Bendimerad, Nassima Belmighoub, Ahcene Benzerari, Aissa Chouat, Mourad Khen, Myriam Aite el Hadj, Akhram Djeghim, Amal Kateb
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C’è una città sopra la città ad Algeri. Dalle terrazze del quartiere popolare di Bab El-Oued si vede il mare e una città a pezzi, povera, fatiscente. Mentre il Muezzin invitano alla preghiera cinque volte al giorno, cinque storie si intrecciano sui quelle terrazze in un giorno qualunque. La band di ragazzi che fa le prove mentre sul tetto vicino una donna vive una situazione drammatica. Lo strano zio rinchiuso in una cuccia come un cane al quale solo la nipotina porta conforto e speranza. Due sicari che torturano un uomo alla presenza di un boss che è legato a quell’uomo più di quanto sembri. Una troupe giornalistica che si trova sulla terrazza sbagliata al momento sbagliato. La vecchia che vive con la nipote pazza di dolore e il silenzioso figlio di lei, una famiglia che farà un gesto estremo quando quancuno vorrà sfrattarla.

Allouache (“Omar Gatlato”, “Bab El-Oued City”), regista algerino che vive a Parigi, dice di aver voluto indagare la complessa società del suo Paese, che soprattutto in questo momento di sanguinoso fermento del mondo arabo, sembra paradossalmente sereno, tenendosi stretta la pace recuperata dopo un decennio di cruento terrorismo. Non tutto è come sembra, però. In passato le terrazze erano luoghi tranquilli dove ci si incontrava per discutere e contemplare la baia. Ora Allouache ci mostra degrado, povertà, violenza, loschi traffici e corruzione. Nel mezzo, soprattutto le donne, prime vittime ma anche ultimo baluardo contro la barbarie. Le terrazze sono case senza pareti, dove nessuno può avere segreti. La telecamera del regista entra prima con discrezione, poi sempre più dentro l’animo stesso delle persone. Una buona prova.

Nel ventennale della morte di Federico Fellini (il prossimo 31 ottobre), Ettore Scola decide di rendere omaggio all’amico e gira “Che strano chiamarsi Federico – Scola racconta Fellini”, un film “cubista”, come dice lui stesso, che alterna scene scritte, ricostruite e girate a Cinecittà a materiali di repertorio e che verrà proiettato alla presenza del presidente Napolitano, in visita alla Mostra. Per Scola è “un album che raccoglie fotografie, ritagli, fiori secchi e magari persino una mosca rimasta pizzicata in mezzo alle pagine. Un album che rischiava di essere un po' offuscato e andava ricolorito e di questo si sono occupate le mie figlie Silvia e Paola”.

Parlando di Fellini come di un grande Pinocchio che, per fortuna, non è mai diventato un “bambino perbene”, Scola ricostruisce il loro incontro nei primi anni Cinquanta, le loro frequentazioni comuni (la redazione del 'Marc'Aurelio, Ruggero Maccari, Alberto Sordi e Marcello Mastroianni), le loro visite di piacere sui set dei rispettivi film, i teatri di posa di Cinecittà e il Teatro 5, dal suo debutto nel 1939 come giovane disegnatore al suo quinto Oscar nel 1993, anno del suo settantatreesimo e ultimo compleanno. “Tutti mi dite che vi siete commossi – ha detto Scola - ma noi non credevamo proprio di avere fatto 'Catene', anche perché non c’è niente da piangere. C'è da piangere quando si muore dimenticati ma non è il caso di Federico. Non si è mai pianto per la morte di Leopardi perché non mi risulta che sia morto. Così Fellini. E poi Federico si incazzerebbe da matti. Federico non fa piangere, era una persona davvero divertente, sorridente, allegra e autoironica e questo spero venga fuori da questo film. Gliele hanno detto di tutti i colori - ha concluso - che era maschilista che era qualunquista. Federico era l'opposto, era la tenerezza. Il suo sguardo per le donne è pieno di tenerezza”.