Venezia 70


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Splendidi alieni, storie terrene

Fuori concorso il censurato ‘Moebius’ di Kim Ki-duk scarlett_johansson_296

di Sandro Calice

Alieni, mutilazioni, animazione e iper realismo: giornata composita alla 70ma Mostra del cinema di Venezia. In concorso ci sono Amos Gitai con “Ana arabia” e Jonathan Glazer con ”Under the skin”, con una bellissima Scarlett Johansson diva indiscussa del red carpet odierno. Fuori concorso, invece, il film di animazione in 3D “Harlock: Space Pirate” di Shinji Aramaki, ma soprattutto “Moebius” di Kim Ki-duk, vincitore del Leone d’oro lo scorso anno con “Pietà”. “Moebius” è la storia di autodistruzione di una famiglia con molti problemi: per punire il padre delle sue continue infedeltà e della sua sessualità malata, la madre per errore ferisce irrimediabilmente il figlio. Per il senso di colpa, scompare, mentre il padre decide di mutilarsi della sua virilità. Un film radicale che sconvolge per le scene estreme di violenza e di sesso, che in patria (la Corea) è stato censurato. “Sono attratto da chi si trova ai livelli più infimi dell'esistenza – dice il regista - trovo in loro un'energia disperata nata da una crisi destabilizzante. E' questa energia malsana a conferire loro intensità e interesse. Solo quando si osserva qualcosa di sordido se ne scopre l'intima bellezza”.

Giornata importante quella di mercoledì 4 settembre. In concorso ci sono il secondo film italiano, “L’intrepido” di Gianni Amelio con Antonio Albanese, e il film di Errol Morris “The unknown known”, lunga intervista all’ex segretario della Difesa degli Stati Uniti, prima volta nella storia della Mostra di un documentario in gara per il Leone d’Oro (l’altro è “Sacro GRA” di Gianfranco Rosi). Fuori concorso, “Une promesse” di Patrice Leconte.

UNDER THE SKIN

di Jonathan Glazer, Regno Unito-Usa 2013, thriller-fantascienza (BIM)
Fotografia di Daniel Landin
con Scarlett Johansson


Sul bordo della strada arriva un centauro, recupera il corpo di una donna e lo porta in un ambiente asettico, bianchissimo, dove arriva lei (Johansson), che spoglia la donna e ne indossa i vestiti. Poi comincia a girare la Scozia a bordo di un furgone, bellissima, sexy, ammiccante, ma gelida, adescando uomini e ragazzi rigorosamente soli, senza famiglia o parenti. Non sono probabili partners, sono prede.

Glazer ha un passato di autore di videoclip (Massive Attack, Radiohead, Blur) e di pubblicità, prima dei suoi due precedenti film, “L’ultimo colpo della bestia” e “Io sono Sean”. “Under the skin” è tratto dal romanzo omonimo di Michael Faber, ed esteticamente si muove tra la video arte e la fantascienza esistenziale. Vuol essere sostanzialmente uno sguardo “alieno” e distaccato sull’umanità, dove il messaggio (?) è che le emozioni, nostro grande limite, sono anche la nostra salvezza. Peccato per alcune lentezze ridondanti e per una Scarlett tanto conturbante sul piano fisico (e mai così nuda), quanto a volte troppo ripetitiva nella sua fissità aliena.

ANA ARABIA

di Amos Gitai, Israele-Francia 2013, drammatico
Fotografia di Giora Bejach
con Yuval Sharf, Sarah Adler, Uri Gavriel, Norman Issa, Yussuf Abuwarda, Shady Srur, Assi Levy
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In un angolo dimenticato al “confine” tra Jaffa e Bat Yam, in Israele, vive una piccola, misera povera comunità di ebrei e arabi. Vivono insieme in pace, sostenendosi l’un l’altro e trovando anche il modo di essere felici. Yael viene inviata dal suo giornale a visitare queste persone: quello che doveva essere un servizio, magari con qualche intervista, si trasforma in una lezione di vita.

“Ana Arabia” è un unico piano sequenza (una ripresa continua, senza stacchi) lunga ben 81 minuti. Una soluzione apparentemente faticosa, ma se si accetta il meccanismo, dopo un po’ non si fa caso tanto alla macchina da presa o all’assenza di montaggio, un iper realismo che può anche annoiare, quanto ai volti, alle storie, che sono leggende, metafore, forse anche mezze menzogne, ma anima di due popoli ed esempio di convivenza. Dice il regista: “E’ una fragile utopia, ma anche una bomba di pace contro le violenze che scorrono tra ebrei ed arabi. Io sono nato ad Haifa, una città in cui ci sono buoni rapporti tra le due comunità. Trovate negli ospedali di Haifa medici palestinesi e c'è una vita del tutto normale e pacifica. Ma queste nicchie di convivenza sono specie in estinzione e vanno protette. Israele resta la culla di tre grandi religioni e un dialogo come questo va protetto per fermare i massacri”.