Venezia 70


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Philomena, magnifico Frears

In concorso anche ‘Child of God’ e ‘Night Moves’ frears_venezia_296

di Sandro Calice

Cinema di grandi personaggi e di storie tragiche nella quarta giornata della Mostra di Venezia. In concorso “Philomena” di Stephen Frears, storia di una donna irlandese che cerca per 50 anni il figlio che le suore diedero in adozione; “Child of God” di James Franco, tratto da un romanzo di Cormac McCarthy, storia di un reietto e della sua discesa all’inferno; “Night Moves” di Kelly Reichardt, sulle conseguenze dell’estremismo politico.

Domenica è il giorno del maestro Hayao Miyazaki, presente in concorso con il film di animazione “The wind rises”. C’è molta curiosità anche per “Parkland” di Peter Landesman sull’omicidio di John F. Kennedy, mentre il terzo film in concorso è “Miss Violence” di Alexandros Avranas.

PHILOMENA

di Stephen Frears, Regno Unito 2013, drammatico (Lucky Red)
Fotografia di Robbie Ryan
con Judi Dench, Steve Coogan.

Magnifico Frears, che tra lacrime e risate ci racconta una storia vera.

Philomena è solo una ragazzina quando resta incinta nel 1952 in una cittadina irlandese. Ripudiata dalla famiglia,viene rinchiusa nel convento di Roscrea, dove partorisce e dove le viene permesso di accudire il suo bambino solo per un’ora al giorno. Fino al giorno in cui il piccolo le viene strappato e dato in adozione. Da allora, e per 50 anni, Philomena non smetterà di cercare suo figlio, senza successo. Poi, per caso, incrocia la strada di Martin Sixsmith, giornalista politico in crisi professionale, che decide di aiutarla. Il film è la storia di questa ricerca, del viaggio e dell’amicizia tra Martin e Philomena, della scoperta della verità alla fine del cammino.

La storia è tratta dal libro di Martin Sixsmith “The lost child of Philomena Lee”, e Frears (“My beautiful laundrette”, “The Queen”) ne trae uno splendido racconto sull’amore e sulla perdita, su fede e amicizia, su colpa e perdono, che accende violentemente l’obiettivo sulla vicenda (vista anche in “Magdalene” di Peter Mullan nel 1992) dei conventi irlandesi in cui le suore rinchiudevano le ragazze madri, spesso utilizzando pratiche fortemente punitive e dando in adozione i loro figli: si parla di migliaia di persone che ancora oggi cercano la loro famiglia. "Sapevo che era un tema controverso quello che stavamo trattando – ha detto il regista - ma era la complessità ciò che mi ha attratto. Vorrei davvero che lo vedesse il Papa". Frears affronta comunque l’argomento con intelligenza ed eleganza, mettendo in campo i due mondi: la fede profonda di Philomena, nonostante tutto, e il cinismo e la rabbia del giornalista; portandoci così su un otto volante di emozioni, dove la profonda commozione e il groppo in gola vengono alleviati da una formidabile ironia e da dialoghi cesellati. Un film seriamente candidato a prendere qualche premio.



CHILD OF GOD

di James Franco, Usa 2013, drammatico
Fotografia di Christina Voros
con Scott Haze, Tim Blake Nelson, Jim Parrack, Nina Ljeti, Brian Lally
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Un altro personaggio irrimediabilmente disperato da Cormac McCarthy, un promettente regista che forse non è ancora pronto per questi racconti.

Tennessee, contea di Sevier. Lester Ballard è un ragazzo difficile, disturbato, che vive da solo nella grande fattoria dei genitori, morti violentemente quando lui era bambino. Quando mettono all’asta la sua casa, Lester comincia a scivolare lentamente e inesorabilmente lontano dalla società e dal concetto stesso di umanità Passa a vivere in una capanna e poi in una caverna, solo, disperato, disperatamente alla ricerca di un contatto con altri esseri umani. Quando si convince che solo i morti non lo respingono, la caduta sarà definitiva.

Tratto dal romanzo di McCarthy, ma anche con elementi della storia di Ed Gein, killer realmente esistito negli anni Cinquanta e che ha ispirato il libro “Psyco” di Robert Bloch, “Child of God” presenta le stesse atmosfere di vite perdute e senza futuro viste in altri adattamenti cinematografici dei romanzi dello scrittore americano, come “Non è un Paese per vecchi” dei fratelli Coen e “The road” di John Hillcoat. Ma James Franco (“Good time Max”, “Ape”, “The feast of Stephen”) non ha (ancora?) la mano dei suoi colleghi, e lo straordinario personaggio di Lester (molto bravo Scott Haze), sulle cui elucubrazioni in solitaria il regista insiste parecchio, alla fine risulta un po’ ripetitivo, la sua sofferenza vagamente comica, le sue motivazioni troppo in balia della follia. Anche tenendo conto dell’intento dichiarato di Franco di voler disegnare un serial killer “simpatico”, a metà tra “Un tranquillo weekend di paura” e Charlot, con McCarthy non si può rischiare di trasformare l’umorismo nero in caricatura. Giudizio sospeso.

NIGHT MOVES

di Kelly Reichardt, Usa 2013, drammatico
Fotografia di Cristopher Blauvelt
con Jesse Eisenberg, Dakota Fanning, Peter Sarsgaard
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Josh, Harmon e Dena sono tre ambientalisti radicali che decidono di compiere l’atto più eclatante della loro vita: far esplodere una diga idroelettrica per protestare contro quell’industria distruttrice di risorse che loro odiano. Harmon è un ex militare esaltato dall’idea del caos e della distruzione. Dena ha abbandonato l’alta società alla quale appartiene disgustata dal consumismo. Josh, forse il vero leader, quello più convinto, lavora in una fattoria biologica. Quello che compiono è un vero e proprio atto di terrorismo, e i tre ragazzi dovranno affrontare le conseguenze delle loro azioni.

Reichardt (“River of grass”, “Meek’s cutoff”) definisce il film “un thriller sull'ambiguità dell’essere umano”. La storia, infatti, è costruita con grande tensione, in alcuni tratti addirittura come un film horror. Non è cioè un film politico: “Non penso che questo film celebri le glorie del terrorismo ambientale – spiega la regista – Anzi, esplora cosa significhi essere radicali ed ideologici. Detto questo c’è un radicalismo del mutamento dell'ambiente naturale che è molto più grande dell'azione di questi ragazzi. Pensate all'abbattimento della foresta pluviale. Ma è un radicalismo accettato perché molti ci fanno soldi”. E’ invece la storia di tre ragazzi che si confrontano con le conseguenze dell’estremismo politico, che devono decidere fino a dove sono disposti a spingersi per i loro ideali. Un po’ lento, scuro e sonnacchioso in certi passaggi, che poi è in qualche modo anche la cifra stilistica della regista.