di Sandro Calice
L’ordinario orrore della famiglia è di scena oggi alla Mostra del cinema di Venezia, con i film i concorso ”Joe” di David Gordon Green e “La moglie del poliziotto” di Philip Groning: ferocie diverse, sui figli e sulle donne, ma entrambe partorite nella gabbia emotiva del nucleo familiare. Fuori concorso c’è l’atteso “The Canyons” di Paul Schrader, con il pornostar James Deen e la bizzosa Lindsay Lohan, che all’ultimo momento ha disertato la Mostra.
Alla Mostra oggi anche il presidente della Rai Anna Maria Tarantola, venuta a sostenere il nuovo progetto 'Melt-a-plot', un social game per inventare storie di cinema su internet, la migliore delle quali diventerà un film prodotto da Tempesta con Rai Cinema. Intervistata da Rai News 24,Tarantola ha parlato del cinema che preferisce: “Mi limito ai generi, nei momenti di stress mi piacciono quei film che danno serenità, non dico necessariamente film romantici. Però mi piacciono anche i film impegnati”. Attori e film del passato? “Tanti, penso a Ninotchka, A qualcuno piace caldo, a Cary Grant e a Clark Gable, non ce n'è uno in particolare. Certo tra i film della vita come non citare ‘Via col vento’”. Quel 'domani è un altro giorno' vale anche per l'oggi, “a patto che sia un giorno positivo da costruire tutti insieme, uno solo non basta. E questo vale per tutto, Rai compresa”.
Sabato 31 agosto vedrà affrontarsi grossi calibri, in competizione per il Leone d’oro: il sempre più apprezzato James Franco con il suo “Child of God” e il “vecchio” Stephen Frears con “Philomena”, interpretato dalla magnifica Judi Dench. In concorso anche “Night Moves” di Kelly Reichardt.
JOE
di David Gordon Green, Usa 2013
Fotografia di Tim Orr
con Nicolas Cage, Tye Sheridan
Un singolo gesto può riscattare un’intera esistenza.
Joe Ransom (Cage in una delle sue migliori interpretazioni) è un ex detenuto che in una anonima cittadina del sud degli Stati Uniti cerca di riprendere le fila della sua vita. Ha un lavoro, un pessimo rapporto con la legge, un senso dell’onore d’acciaio e una collera repressa sempre pronta ad esplodere, soprattutto se si tratta di raddrizzare torti o difendere i deboli. Gary (Sheridan) è un ragazzo di 15 anni ed è arrivato da poco in città insieme alla sorella muta e ai genitori alcolizzati, con un padre violento e ormai perduto. Quando Joe incontra per la prima volta gli occhi di Gary sa già la direzione che prenderà la sua vita, anche se il prezzo da pagare potrebbe essere molto alto.
Joe è un amarissimo romanzo del 1991 di Larry Brown (1951-2004), ex pompiere poi scrittore di successo, splendido narratore di alcolismo, perdenti e rettitudine morale nel profondo sud del Mississippi. Il film di Green (Orso d’Argento per la regia a Berlino con “Prince Avalanche”) rende pienamente giustizia a quelle atmosfere, disegnando – come dice il regista – il personaggio di Joe quasi come un ultimo cowboy che non riconosce più il mondo attorno a sé. Joe è un duro che sa anche piangere, uno che sa essere cattivo, che può uccidere con facilità, ma che trova nell’aiuto ai deboli e ai poveri lo sprone e la ragione della sua redenzione. Un personaggio complesso e lineare allo stesso tempo (passaggi sottolineati benissimo nel film da musica e fotografia), che quando trova Gary in bilico sul precipizio del suo amore a senso unico per un padre che non c’è mai stato, capisce che non solo dovrà riempire la terrificante solitudine del ragazzo, ma che sarà anche responsabile della strada che prenderà. Tra quelli in concorso, il miglior film visto finora.
LA MOGLIE DEL POLIZIOTTO
di Philip Groning, Germania 2013
Fotografia di Philip Groning
con Alexandra Finder, David Zimmerschied, Pia e Chiara Kleemann.
L’orrore che si annida nella cosiddetta normalità, l’amore che spesso non basta.
Lui fa il poliziotto in una piccola città di provincia, lei sta a casa e fa la madre a tempo pieno, crescendo con amore la loro piccola bambina. Lui vive una vita ripetitiva, noiosa, che comincia ad anestetizzargli i sentimenti, lei insegna l’amore alla sua bimba, ne difende l’anima da qualsiasi interferenza. Ogni tanto loro fanno una gita, quello che lo stipendio permette. Lui non è un uomo cattivo, ma qualcosa di brutto comincia a crescergli dentro, lei cerca di non vedere, nonostante i lividi sul suo corpo aumentino, la bambina li tiene ancora a galla. Lui perde il controllo, lei affonda, nemmeno la bambina basta più.
“La moglie del poliziotto” affronta un tema che di per se stesso è una lama che affonda nella carne viva della nostra sensibilità. E’ però un film esteticamente e concettualmente faticoso: 175 minuti divisi in 59 piccoli capitoli, separati ogni volta da uno schermo nero con le scritte in successione “fine del capitolo x”, “inizio del capitolo y”; e praticamente solo nell’ultima mezz’ora diventa chiaro quello che sta succedendo. Groning (“Il grande silenzio”) parla di “un mosaico di varie cose che si sviluppa lentamente, perché nessuno spettatore perda la propria direzione”, “il film così dà allo spettatore la libertà di distanziarsi per poi potersi immedesimare nel nuovo capitolo”. Possiamo perciò anche parlare della virtù dell’amore, di come le tenebre si nascondano in ognuno di noi, del perché una moglie e madre non riesca a liberarsi dalla sua prigione di violenza, dei doni e dei danni che come genitori si fanno ai bambini: tutto questo, però, a patto di resistere in sala fino alla fine della proiezione.
THE CANYONS
di Paul Schrader, Usa 2013
Fotografia di John DeFazio
con Lindsay Lohan, James Deen, Nolan Funk, Gus Van Sant
Un noir che porta la firma di Bret Easton Ellis che vorrebbe essere una riflessione sulla crisi del cinema, con poco successo.
Quattro ragazzi intrecciano le loro vite a Los Angeles, dove le sale cinematografiche continuano a fallire e dove loro parlano di fare un film nel quale nessuno crede davvero. Al centro Tara (Lohan), donna affascinante e arrivista, fidanzata con un produttore viziato figlio di papà (Deen); di fronte a loro la segretaria del produttore e il suo fidanzato, un ex modello che aspira a una parte nel film. Sembra tutto lineare, ma in realtà nessuno dice davvero quello che pensa e ognuno è legato agli altri da qualche segreto. Segreti che diventeranno pericolosi.
Schrader è ormai lontano dalla sceneggiatura di “Taxi Driver” o dalla regia di “American Gigolò” e al suo primo film a basso costo (solo 150 mila dollari di budget) non coglie nel segno, tanto che già dichiara che non ne farà più: “Non ne farò un altro perché è dura rinunciare ai costumi, al makeup e a tanto altro, sento troppo il peso della mancanza di denaro”. Non sembra però il makeup il problema del film, che risulta freddo e cerebrale, nonostante una storia discreta e una buona fotografia elegante. E nemmeno le scene di sesso riescono a riscaldare la platea, anche perché abbastanza stereotipate. La Lohan, poi, convince poco, troppo “lamentosa” per affascinarci come dark lady, tanto che perfino il pornodivo Deen sembra più bravo. Parlando di lei, il regista sbotta: “Finalmente sono libero. Per gli ultimi 16 mesi sono stato ostaggio di un'attrice di grande talento, inqualificabile per le sue azioni”, imbestialito per il forfait dell’attrice a Venezia. Un’occasione mancata.