“Non accade mai il prevedibile, ma succede sempre l’inatteso”. John Maynard Keynes parlava dell’economia, ma la politica non è da meno. Fino a una settimana fa tutte le preoccupazioni sulla sorte del governo Letta erano legate all’economia (il PdL puntava i piedi sull’abolizione dell’Imu gravante sulla prima casa) e ai processi nei quali è imputato Silvio Berlusconi (in particolare quello Mediaset, sul quale si pronuncerà il 30 luglio la Corte di cassazione). A sorpresa, invece, è arrivata anche la “mina” del caso Kazakistan. Angelino Alfano, ministro dell’Interno, rischia di saltare sulla vicenda dell’estradizione dall’Italia di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Ablyazov, e della figlia minorenne. Una parte del Pd, in particolare i renziani, mettono sotto accusa il comportamento di Alfano e venerdì sono pronti a votare al Senato la mozione di sfiducia presentata dal M5S e Sel.
Per Enrico Letta suona l’allarme rosso. Se cadesse Alfano, ministro dell’Interno, vice presidente del Consiglio e segretario del PdL, il governo di larghe intese non potrebbe sopravvivere. Il presidente del Consiglio da Londra ha dato fondo a tutto il suo ottimismo: “Non ho alcun dubbio che il governo andrà avanti. Supereremo tutti gli ostacoli”. Ed ha usato due parole magiche: “Stabilità politica”. Ha sottolineato: “Il mio impegno è per la crescita, la ripresa e le riforme economiche, ma senza stabilità politica sarà impossibile”.
Stabilità politica. È una coincidenza, ma gli stessi termini li ha usati Berlusconi in una conversazione con ‘Il Corriere della Sera’: “Non vedo nulla che possa mettere in discussione la stabilità, nulla che possa provocare una crisi. Con tutti i problemi che ha il Paese e i segnali negativi che giungono dall’economia”. Il presidente del PdL ha difeso il segretario del suo partito: “Alfano non ha colpe e non si tocca. Né lui né il governo”.
Ma qui il problema non è solo quello della sorte di Alfano: in discussione c’è la vita dell’esecutivo Letta. E si potrebbe arrivare all’assurdità di una parte del Pd che voterebbe contro il “governo di servizio”, un esecutivo presieduto da Enrico Letta, esponente di primo piano del partito, già vice segretario quando sul ponte di comando c’era Pier Luigi Bersani. Così sono partiti i contatti e gli incontri dentro e tra Pd, PdL e Scelta Civica, i tre partiti colonne della “anomala maggioranza” che sostiene Letta da tre mesi. Si cerca una soluzione, una mediazione per impedire l’affondamento del governo di grande coalizione inviso a molti (anche all’interno di Pd e PdL) e fortemente sostenuto da Giorgio Napolitano. È stato il presidente della Repubblica a lavorare con grande determinazione per la nascita ad aprile dell’esecutivo Letta. È Napolitano che, ripetutamente, ha sollecitato proprio la “stabilità politica” oltre alla “coesione nazionale” e alla “responsabilità nazionale”. Il tam tam di Montecitorio ipotizza un possibile intervento del capo dello Stato, anche sotto forma di “moral suasion”. Si parla di una mediazione. C’è chi parla di un possibile ritiro delle deleghe da ministro ad Alfano che resterebbe, però, vice presidente del Consiglio. Si delinea una vita più breve dell’esecutivo, rispetto a quella prevista di 18 mesi. La cosa potrebbe piacere anche a Matteo Renzi, giovane astro nascente del Pd che, ripetutamente, ha criticato l’esecutivo e scalda i motori come candidato del centrosinistra a Palazzo Chigi nelle prossime elezioni politiche. La verità si saprà venerdì al Senato, il conto alla rovescia è cominciato.
Rodolfo Ruocco