Qualcuno potrebbe parlare di furti di necessità. Ma la descrizione più appropriata è forse quella fatta da George Orwell nel suo ''Senza un soldo a Parigi a Londra'': una persona messa ai margini della società dalla povertà è ''sempre pronta a commettere un reato se sembra una facile opportunità''.
E' una correlazione, quella tra crisi e furti, che dai libri del grande narratore trova ora conferma anche in una complessa analisi stilata da due economisti della Banca d'Italia e pubblicata sui working papers dell'istituto: una riduzione del 10% dell'attività economica a livello locale - hanno calcolato i due esperti di Via Nazionale - produce un aumento del 6% dei furti e del 10% delle estorsioni.
Il dato non è però frutto di suggestioni letterarie ma di un'analisi concreta che ha fotografato la difficile realtà italiana nel 2008 e nel 2009, cioè nei primi due anni di crisi, quelli nei quali i rovesci finanziari si sono trasferiti come un macigno sull'economia reale e sull'occupazione. E ai quali la Coldiretti aggiunge ulteriori informazioni: nel 2011 i furti sugli scaffali dei supermercati avrebbero superato i 3 miliardi, prendendo di mira i prodotti per la barba, accessori per l'abbigliamento, formaggi, giacche e cappotti, carne e profumi.
Gli esperti di Bankitalia Guido de Blasio e Carlo Menon hanno effettuato uno studio rigoroso. Hanno incrociato i dati del Cerved sui bilanci delle imprese nelle diverse realtà locali con le parallele ''notizie di reato'' stilate dalla polizia all'autorità giudiziaria. Ne è uscita una dettagliata mappa territoriale che ha dato consistenza e numeri al legame tra crisi economica e criminalità ed ha alimentato il un filone di analisi economica inaugurata da Gary Beker che già nel 1968 scriveva: ''l'assottigliarsi delle opportunità per un mercato del lavoro legale - aveva scritto allora l'economista inglese - fa diventare più attraente la possibilità di commettere un reato''.
Ora ci sono i dati. Il lavoro evidenzia l' ''impatto significativo'' della crisi sulle tipologie di reato che non richiedono specifiche abilità, come appunto i furti, suggerendo come una certa quantità di azioni criminali ''improvvisate'' possano essere dettate direttamente dalle difficoltà economiche dei singoli. Forte impatto anche sulle estorsioni, anche se bisogna soppesare il fatto che ce ne sono solo 4 ogni 1.000 furti. Di converso, si rileva un impatto ''negativo'' su altre categorie ''in cui appaiono necessarie maggiori competenze criminali'', quali le rapine. Ed ancora, non risulta nessuna relazione fra la crisi ed i reati a carattere non strettamente economico, come stupri, omicidi o altri crimini violenti.
La ricerca contiene anche molte altre indicazioni. Gli effetti della crisi sono più evidenti sull'aumento dei furti nelle zone nelle quali la forza lavoro è più giovane o dove c'è una prevalenza di piccole imprese. Diminuisce invece dove è più forte la criminalità organizzata.
In Campania, Calabria, Puglia e Sicilia il legame fra la riduzione dell'attività economica e l'intensificarsi dei reati ha un'evidenza ancora minore, ad indicare come il ''monopolio'' del crimine detenuto dalle organizzazioni mafiose renda molto più difficile ''improvvisare'' un'azione illegale, rispetto alle zone dove invece ''il controllo del territorio è meno capillare''.
Gli economisti tirano anche delle conclusioni. Ovviamente economiche. Nell'affrontare i nodi della crisi - segnalano - bisognerà allungare la lista dei problemi sociali da affrontare e mettere in conto anche i costi sociali e collettivi che derivano sull'economia locale anche dalla crescita del numero dei reati.