L'intervista


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‘Se potessi, tornerei domani in Turchia’

Parla il fotoreporter italiano arrestato a Gezi Park mattia_cacciatori_296

di Luca Garosi
(luca.garosi@rai.it - @lucagarosi)

Mattia Cacciatori compirà 25 anni il prossimo settembre, ha scelto di prendere in mano una macchina fotografica e cercare di raccontare il mondo, soprattutto le zone colpite dalla piaga della guerra e le aree di crisi. È partito nel 2009 per la Mongolia dove ha realizzato un reportage di viaggio, l’anno successivo è stato in Kenya e Tanzania, poi in Ecuador. Più recentemente ha realizzato reportage dalla Giordania, da Israele e dalla Striscia di Gaza.

Il giovane fotoreporter originario di San Giovanni Lupatoto (in provincia di Verona) non è diventato famoso per un suo scatto che passerà alla storia, ma perché – purtroppo – è stato vittima di un ennesimo episodio contro la libertà di stampa: nella giornata di sabato è stato fermato mentre riprendeva la polizia turca che disperdeva i manifestanti a Gezi Park. Dopo molte ore di fermo è stato rilasciato ed è tornato in Italia.

Come stai? Ci racconti la tua esperienza in Turchia?
«Sto molto bene. Sono rientrato ieri sera (lunedì, ndr) all’aeroporto di Malpensa. La polizia turca mi ha scortato fino all’ultimo, accompagnandomi al sedile dell’aeroplano. Preciso, comunque, che non ho ricevuto alcuna forma di violenza fisica. Hanno fatto qualche tipo di violenza psicologica, ma nulla di eccezionale, credo che rientri nella normalità. Sabato sera a Gezi Park hanno arrestato 59 persone di tutte le classi sociali, di ogni etnia, sesso o religione. Nella mia cella eravamo 14 persone in 30 metri quadrati».

Come mai sei stato arrestato? Sei stato incauto nel riprendere la manifestazione? Hai fatto qualcosa di sbagliato? Cosa c’era di così terribile in quelle immagini?
«Ero in Turchia già da una settimana e sapevo che quel pomeriggio i manifestanti si sarebbero riuniti nuovamente alle 19 per occupare Gezi Park. Ma la polizia non lo ha permesso, già intorno alle 18 ha iniziato a disperdere la folla che si stava radunando. Lo facevano utilizzando anche dei gas, io ero lì in mezzo per documentare con le mie foto quello che stava succedendo. La mia maschera, però, non reggeva più. Mi sono spostato in una via laterale e lì sono stato fermato. Sono stato molto cauto e attento: in una mano avevo il passaporto e nell’altra la mia tessera da fotoreporter. Non ho opposto alcuna resistenza, mi sono lasciato portare via. Questo mio modo di condurmi durante l’arresto, mi ha facilitato poi nella difesa davanti al giudice».

Perché eri in Turchia? Eri lì mandato da qualche agenzia? Lavori per qualcuno?
«Ero lì con l’accredito della Luz Photo Agency, un’agenzia internazionale, grazie a loro potevo lavorare in Turchia come fotoreporter. Ero partito perché sapevo che in quel Paese si lotta per la libertà, volevo raccontare come quel popolo lo sta facendo. Sentivo che dovevo essere lì a Gezi Park, a piazza Taksim, ovunque si radunava la gente per protestare».

Lo rifaresti? Ripartiresti per la Turchia?
«Partirei domani mattina se ne avessi la possibilità, purtroppo – però - non posso tornare lì per un anno. Il movimento di protesta in Turchia ha molto da insegnare su cosa è la democrazia oggi. Tutto il mondo dovrebbe capire i motivi di quella rivolta».

Quali sono le maggiori difficoltà che un giovane reporter come te deve affrontare oggi?
«Questa è una bella domanda, alla quale è – allo stesso momento - difficile e facile rispondere. Sostanzialmente la principale difficoltà è quella della pubblicazione del materiale che noi produciamo. Spesso è complicato vendere il materiale raccolto. È un lavoro che si basa sui contatti e sulla conoscenza delle persone giuste (soprattutto dei fotoeditor). Devi sempre sperare che qualcuno stia a guardare quello che fai e di essere nel posto giusto al momento giusto».

Cosa consiglieresti ai tuoi coetanei che vogliono fare questo mestiere?
«Io ho iniziato quattro anni fa, quando avevo 20 anni, prendendo lo zaino e partendo. Per fare questo lavoro devi avere la passione dentro, se hai questa passione è un mestiere che io consiglio assolutamente. Ci sono, sostanzialmente, tre regole da seguire: camminare, ascoltare e guardare. Solo così sei sicuro che riuscirai bene in questa professione».