Il Maestro sale in cattedra


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Il Nabucco di Muti

Lectio magistralis al Costanzi di Roma m

di Carla Toffoletti
(carla.toffoletti@rai.it)

"Siete in tanti, mi fa molto piacere vedere tanti giovani. E’ una vita intera che mi batto perché cultura e musica abbiano un posto importante nella storia del Paese”. Riccardo Muti sale in cattedra e dal palco del Costanzi di Roma spiega a oltre 2000 giovani dei Conservatori e di tutte le Università d’ Italia, il valore della musica classica e dell’alfabetizzazione musicale. Una lectio magistralis per raccontare Verdi e il suo Nabucco, in vista della “prima” del 16 luglio all’Opera di Roma.

“Non è vero che i giovani sono disinteressati ai valori della cultura- incalza- questo è un luogo importante, perché il teatro è il luogo dell’incontro delle menti, qui le persone possono ‘sentire’ il messaggio che la musica può dare”. E ammonisce i politici: "La cultura è la vera ricchezza ". Come il pifferaio magico il Maestro incanta, e da grande comunicatore trascina i ragazzi alla scoperta di un’opera che rivela nella sua essenza.

“Nell’immaginario popolare il Nabucco è un monumento nazionale, e il Va’ pensiero una sorta di inno della Nazione. Ma questo non può essere perché l’intento iniziale di Verdi non era stato quello di adoperarsi per la causa della rivoluzione. Semplicemente sapeva che quel tipo di musica avrebbe incontrato il favore del pubblico perché corrispondeva alla disposizione d’animo della popolazione. I cori verdiani sono stati considerati molto dopo rivoluzionari . Il Va’ pensiero all’epoca fu lodato, ma senza quei sussulti d’animo che suscita oggi . Più che un inno alla Patria è un inno a un tempo perduto, svanito: l’uomo fa i conti con se stesso e con la natura . E’ un inno che commuove tutti, persino gli austriaci che nell’opera dovrebbero identificarsi con gli invasori ”. Poi scherza: “Ve lo immaginate Totti che lo canta all’inizio di una partita ? Il Va’ pensiero intero dura 4-5 minuti e a differenza di quanto si crede Verdi lo voleva non cantato a squarciagola, bensì ‘sottovoce, grave e lento come si confà ad un popolo esiliato’ L’inno del Nabucco è una melodia fortemente italiana e Verdi rappresenta l’Italia nel mondo,”. Ed è ancora più chiaro quando spiega che le opere di Verdi sono intrise di italianità: perché è uno dei più eseguiti . Verdi è l’Italia, per questo va eseguito nel modo più nobile possibile”. Il Maestro ricorda come troppo spesso abbiamo massacrato il nostro repertorio. “La nostra cultura è diventata spesso popolare nel peggior senso, pedestre. Si pensa che gli italiani, specie del meridione come me, siano spaghetti e pizza e quindi poco adatti alla musica viennese”. E sfida il pubblico : “Quando si esegue Verdi richiedete la stessa sacralità che richiedete quando si fa Mozart, Strauss, Schubert . Riconquistiamo l’aristocrazia della nostra cultura, di cui Verdi è il rappresentante. Io mi ritengo acculturato e sono figlio della scuola italiana Facciamo sì che la nostra cultura splenda nel mondo”.

Accalorato dagli applausi Muti è un fiume in piena. Racconta Verdi, le sue origini umili di cui va fiero, la sua “spiritualità”, ma anche la sua estrema praticità contadina, i suoi esordi pessimi al Conservatorio di Milano (non viene ammesso perché sostiene l’esame da pianista e non da compositore), la malinconia dopo l’insuccesso della sua seconda opera, il libretto del Nabucco messogli in tasca da Nerelli e casualmente uscitogli dalla giacca aperto nella pagina del “Va pensiero”, la sua notte insonne a pensare all’opera e la voglia di comporre che torna ad invaderlo. Il resto è poesia e piacere. Al pianoforte, assecondato dai suoi selezionati interpreti, Muti ripercorre gli snodi dell’azione , il popolo ebreo schiavo, così vicino a quello italiano del Risorgimento, i personaggi contrapposti con la tracotanza punita del babilonese Nabucodonosor e la rivalità con l’ambiziosa figlia Abigaille, l’amore tra Ismene e la convertita Fenena, ma soprattutto il senso musicale e corale del racconto concepito su un composito libretto di Solera rifiutato precedentemente dal prussiano Nicolai. Un solo rimpianto: dover rinunciare all’emozione del “Va’ pensiero”, troppo scontato aspettarselo.