di Emanuela Gialli
(emanuela.gialli@rai.it)
Sono stati i Borboni a portare l’omeopatia in Italia, quando –spiega Francesco Negro a Televideo- nel 1821 Ferdinando I chiama, a Napoli, l’esercito austriaco per sedare le sommosse popolari nel Regno. E molti medici militari, sono omeopati. I Borboni mandano un loro ufficiale a Köthen per studiare omeopatia. Da quel momento, l’espansione è rapida in quasi tutta l’Italia, ma, dal 1863, con le scoperte mediche di Pasteur e Koch, l’omeopatia viene quasi abbandonata. Nel 1895 solo a Napoli resta la Cattedra di Medicina omeopatica, presso l’Università di Napoli. Poi, nel Ventesimo secolo la nuova spinta impressa dal Professor Antonino Negro.
Dottor Francesco Negro, da lunedì 17 quindi parte l’avventura del Museo dell’Omeopatia italiana, a piazza Navona. E’ una data casuale?
No. Il 17 giugno di quest’anno sarebbe stato il 105esimo compleanno di papà.
Il professor Antonino Negro, che è morto tre anni fa, nel 2010...
Sì, a 102 anni.
E il Museo sarà aperto al pubblico quando?
Noi non siamo così ricchi da avere personale addetto all’accoglienza dei visitatori. Le persone interessate dovranno mandarci una mail al sito della Fondazione Negro, prendere un appuntamento e noi li guidiamo nella visita.
E la visita è gratis?
Certo, è tutto gratuito.
A Piazza Navona c’era fino a poco tempo fa l’Aimo, l’Accademia italiana di Medicina Omeopatica, con i suoi ambulatori.
Esattamente. L’Istituto storico che papà fondò. Papà ha iniziato con una piccola sede a via Gioacchino Belli, poi si spostò a viale Giulio Cesare e infine la sede di Piazza Navona 49, dove siamo dal 1949. L’Aimo ha cessato la sua attività nel 2003. E ora c’è il Museo dell’Omeopatia e Archivio storico.
Cosa proponete a chi visita questo Archivio storico dell’omeopatia italiana?
Ci sono oltre 5 mila trattati di omeopatia, alcune prime edizioni di Hahnemann, interessantissime. Più altri 3.500 libri che erano di papà, che erano anche di medicina tradizionale, perché lui come medico ha continuato a studiare entrambe. Lui diceva sempre che la medicina è fatta da due mani, la destra e la sinistra e che tutte e due, la medicina accademica e l’omeopatia, devono essere usate per stabilire la cura migliore per un determinato individuo e in un determinato momento. Quindi l’omeopatia non è la negazione della medicina accademica, semmai un’integrazione.
Che è un po’ la strada che avete preso voi due figli: Paolo, chirurgo, e lei, Francesco, omeopata.
Sì, io sono anche endocrinologo, sono stato professore universitario, continuo a fare il medico prima e l’omeopata dopo. Prima devo pensare a fare il medico, con le diagnosi e le analisi, e dove io posso curo con l’omeopatia, come preferenza, dove non posso, consiglio una specializzazione tradizionale. Come dire, che alcune cose si possono fare in una maniera e altre in un’altra.
Torniamo al Museo, Dottor Francesco Negro.
Oltre ai trattati di omeopatia e ai libri di medicina, abbiamo dai 3 ai 4 mila “Memorabilia”, vale a dire ad esempio cartoline di 250 ospedali omeopatici dei primi del Novecento, americani, lettere di George Sand al medico omeopata di Chopin, trousse, come quella della zarina Alessandra, tre lettere di Hahnemann in tre lingue, italiano, francese e latino. E ancora tante trousse, che sono dei piccoli contenitori, come dicevo, che servivano a portare con sé i rimedi omeopatici. Alcuni sono veramente deliziosi, in vetro di Murano, dell’Ottocento, fino ad arrivare ai primi del Novecento. Abbiamo insomma in aggiunta anche un’oggettistica bella e divertentissima. Non mancano i francobolli, con la filatelia omeopatica. Tra l’altro, per questa inaugurazione di lunedì 17 giugno, facciamo fare l’”annullo” su busta.
Una documentazione dunque molto vasta che abbraccia un periodo a cavallo di due secoli, la vita del Professor Antonio Negro e anche quella di voi figli, immagino.
Consideri che già mio nonno, che non era medico, si curava con l’omeopatia.
Quanti dei libri che si trovano esposti al Museo sono stati scritti da suo padre?
Papà ha scritto molti articoli medici, sono sue molte pubblicazioni, ma non ha scritto libri. Noi abbiamo molti suoi appunti, che probabilmente il prossimo anno faremo uscire sotto forma di libro, intervallati da testimonianze di attori, personaggi vari, che si curano con l’omeopatia.
Allora al prossimo appuntamento. Intanto però vorrei che questa sia anche un’intervista “di servizio”, per avvicinare le persone all’omeopatia, senza distogliere dalle cure della medicina tradizionale. In effetti suo papà aveva un approccio, come diceva prima, molto onesto intellettualmente. Ma nel corso degli anni si è creata una sorta di competizione tra medicina tradizionale e omeopatia.
Nel 1796-1798, Hahnemann, scrivendo con Hufeland, professore di clinica medica all’Università di Jena, dove insegnava anche il filosofo tedesco Hegel, che, nel suo trattato sulla natura parla favorevolmente dell’omeopatia, diceva che se gli Stati usassero i rimedi omeopatici, rimedi, non farmaci, nel senso di “rimettere in media”, un termine più fascinoso, per curare si spenderebbe molto di meno. Certo, è ovvio che per una patologia importante una persona va dal chirurgo o dallo specialista, ma dal momento che, ringraziando Dio, l’80 per cento circa delle patologie sono di tipo molte volte psicosomatico e funzionale, con poca spesa, anche se il rimedio omeopatico in Italia costa ancora moltissimo rispetto a quanto in realtà dovrebbe costare se fosse più diffuso, si riesce a curare un’influenza.
Ma quali sono le differenze più evidenti tra medicina accademica e omeopatia?
Cristianamente parlando diciamo “ama il prossimo tuo come te stesso”, o laicamente, come diceva Kant, “l’uomo è un fine e non un mezzo”, l’etica ritorna. Se dovessi fare un appunto è che se la medicina omeopatica, per alcuni che la fanno in modo un po’ dogmatico, ha bisogno della scientificità della medicina accademica , alla stessa maniera questa avrebbe bisogno dell’etica che ha l’omeopatia, che considera che esiste il malato e non la malattia.
Però le persone di fronte all’omeopatia si potrebbero per così dire spaventare, per i nomi, molto dei quali formulati in latino. Insomma ci si può sentire inadeguati.
Ma i rimedi sono le materie prima che si trovano nelle piante. Se io le parlo di tuja, è la pianta di tuja, pulsatilla è una anemone. Apis, è la sostanza delle api. Non sono cose molto complicate. Nux vomica è la noce vomica, Ignatia sono le fave di Sant’Ignazio. Il problema semmai è che l’omeopatia non può ammettere il “bugiardino”, il foglietto che è all’interno delle confezioni dei farmaci che spiegano la composizione, le indicazioni e le controindicazioni. Perché il rimedio omeopatico cura la persona, l’uomo trinitario, mente-corpo-spirito, in cui ho una parte, corpo, che misuro, e le altre due componenti, mente e spirito, che sono invece incommensurabili, e che devo intuire per ricostruire il disagio della persona e darle il suo rimedio “simile”, secondo il principio analogo alla vaccinazione.
Qual è allora il messaggio, conclusivo, di “servizio”?
Il medico deve essere prima medico e poi omeopata. La medicina, come dicevo, è fatta da due mani: chi non le usa è “monco”. Sia chi nega completamente l’omeopatia, perché non la conosce, e commette un errore, sia chi nega completamente la medicina accademica, che commette a sua volta un altro errore.