Sarà l’astensionismo a misurare il dissenso in Iran, dove si vota per il nuovo presidente alla fine del doppio mandato di Ahmadinejad. A Farian Sabahi, storica dei Paesi islamici, giornalista e scrittrice (l’ultimo suo libro è “Noi donne di Teheran”), abbiamo chiesto se in un Paese “strozzato” dalla crisi economica dovuta alle sanzioni internazionali, con gli oppositori in carcere e le pressioni sui media, davvero le presidenziali si ridurranno a una sfida tra conservatori o c’è speranza di un cambiamento.
“Il presidente della Repubblica Islamica è in carica per quattro anni e il suo mandato può essere rinnovato ancora una volta. Ma è “in carica”, non al potere: nella stanza dei bottoni continuerà a stare il leader supremo Ali Khamenei. E’ lui, infatti, ad avere l’ultima parola su tutto, e per esempio a decidere la politica estera e la politica nucleare”.
Quale bilancio si può tracciare dopo la presidenza di Ahmadinejad?
“Ahmadinejad è stato presidente per due mandati consecutivi, dal 2005 al 2013. Dopo otto anni, gli iraniani sono sempre più isolati sulla scena internazionale e sentono la crisi economica più che mai. Crisi dovuta non solo alle sanzioni internazionali ma anche a politiche economiche sbagliate”.
Potrebbero avere un effetto sul voto la crisi economica e il malcontento popolare, soprattutto tra le nuove generazioni?
“Sì, certo. Ma in questo momento l’unico modo per dimostrare dissenso senza rischiare la vita è l’astensione. Perché tutti i candidati sono in una qualche misura rappresentativi dei poteri forti (ayatollah e pasdaran) e votarli sarebbe manifestare consenso e dichiarare legittimità alle autorità della Repubblica Islamica”.
La contestazione “verde” sembra dimenticata.
“Il movimento verde è stato decapitato: sono oltre due anni che i suoi leader Mussavi e Karrubi sono agli arresti domiciliari. E precisamente dal 14 febbraio 2011 quando avevano chiesto i permessi per dimostrare a favore delle primavere arabe. Manifestazioni che sarebbero ovviamente state pretesto per protestare contro la nomenclatura della Repubblica Islamica. L’altro leader del movimento verde è l’ex presidente riformatore Muhammad Khatami, che non ha osato presentare la propria candidatura in questa corsa elettorale”.
La bocciatura delle 30 candidate donne avrà un peso sul voto, così come l’esclusione di fatto dei riformisti?
“Il fatto che le donne siano state escluse non è una novità. Come non lo è l’esclusione dei riformisti. Meno evidente è, al pubblico occidentale, l’esclusione dei musulmani sunniti perché sciita deve essere il presidente della Repubblica islamica. Ma proprio per questo la componente sunnita dell’Iran (attorno al 9 per cento ma forse maggiore, anche a causa dei tassi demografici più alti rispetto agli sciiti) vengono corteggiati da alcuni candidati. Come avevano fatto nel 2009 i candidati del movimento verde riformista”.
Tra gli otto candidati ammessi, Hassan Rohani, ritenuto vicino a Rafsanjani, e Mohammad Reza Aref, politico riformista, hanno qualche possibilità?
“Difficile fare previsioni, anche perché ci sono tante, troppe variabili che sfuggono all’analista. A contare non sarà, ancora una volta, soltanto il voto degli iraniani”.
B.B.