di Rita Piccolini
(rita.piccolini@rai.it)
Si è svolto al Censis il primo dei quattro incontri del tradizionale appuntamento di riflessione di giugno “Un mese di sociale”, dedicato quest’anno alla società impersonale. Nei prossimi incontri: “Un mare di numeri senza interpretazione”; “Il primato dell’opinione nella comunicazione orizzontale; “Fenomenologia della società impersonale”.
Ma cosa significa esattamente “società impersonale”? Lo spiega il professor Giuseppe De Rita, presidente dell’Istituto di ricerca socioeconomica, citando Simone Veil che per prima parlò di una “società moderna che diventa impersonale” (non a caso la definizione è degli anni Trenta, anni che videro affermarsi in Europa i regimi autoritari). Ribadisce De Rita: “La società moderna sta diventando sempre più impersonale. La subiamo come un paesaggio osservato dall’esterno. Non interagiamo”. Ne comprendiamo le storture, spesso urliamo la nostra indignazione, ma non traduciamo tutto ciò in azione politica. Quindi sempre di più “no al voto, né all’attività politica”. Solo e sempre di più invettive e basta. E’ una caratteristica della “società impersonale” inveire contro tutto e tutti:”Una miscela potenzialmente infiammabile da populismi abili”.
Questo spiega il numero sempre più alto di astensionismo non solo alle elezioni politiche, in cui si tende a marcare il proprio distacco dalle istituzioni, ma anche a quelle amministrative, in cui più direttamente dovremmo essere coinvolti, perché riguardano il nostro territorio, (la metà degli elettori romani che non hanno votato al primo turno per scegliere il sindaco della città ne è un esempio illuminante).
Negli anni passati invece, rispetto agli Stati Uniti ad esempio, o a molte democrazie europee, sembrava persistere da noi il potere coinvolgente e emozionale delle elezioni, soprattutto quelle politiche. Ora invece tra gli italiani e la politica la passione sembra essere finita. “Le retoriche sulla Casta, sulle sovranità lontane che dettano legge a una politica quasi impotente e sulle oligarchie sorde alle istanze sociali” spiegano in parte il perché della fine di questo amore. Poi indubbiamente c’è la persistente crisi economica ad approfondire il distacco degli interessi e delle paure individuali, spezzando il senso di appartenenza. E la politica naturalmente ci mette del suo, assumendo anch’essa dinamiche “soggettive, molecolari, orizzontali”. La stima, che era il “filo rosso” che univa la politica e i suoi soggetti, è scomparsa lasciando il posto alla delusione, al disincanto, alla rabbia. Le piazze desolatamente vuote sempre a Roma a conclusione della campagna per i sindaci né sono un simbolo emblematico. Sembra che i cittadini non si aspettino più risposte adeguate e convincenti. Lo storico Guido Crainz, che ha commentato il rapporto, ha portato in contrapposizione l’esempio di Mantova sotto al neve, affollata di sostenitori del Movimento 5 Stelle, come esempio di rifiuto della politica esistente e simbolo del vulnus tra i politici tradizionali e la società.
I dati del rapporto parlano chiaro. Il 77% degli italiani considera “mediocri le persone ai vertici della politica; il 18% le giudica appena sufficienti. E ancora: sempre per il 77% degli italiani in politica si fa carriera con raccomandazioni, favoritismi e nepotismo .”Se un tempo la politica coinvolgeva, appassionava, era importante, nella società impersonale la politica logora il prestigio di chi la fa”, si legge nel rapporto.
Sono stati più di 14 milioni gli astenuti alle elezioni politiche del febbraio scorso (il 27,8% degli aventi diritto, il più alto tasso di astensione nella storia della Repubblica). E il dato è salito al 37,6% alle ultime amministrative. E poi il 56% degli italiani non è più coinvolto in alcuna altra forma di partecipazione: non firma petizioni, non partecipa a dibattiti né a livello nazionale che locale. Nessuno così in Europa. Abbiamo superato in questo anche la Grecia. “Non piacciono i politici- si legge ne rapporto- ma non piace soprattutto la politica, i suoi meccanismi auto referenziali fino alla selezione addomesticata dei suoi nuovi componenti…Non è piaciuto agli italiani stringere la cinghia mentre un mare di denaro pubblico alimentava la macchina politico-partitica”.
Certo le spiegazioni di questa disgregazioni sono molteplici e articolate e troveranno nel rapporto annuale del Censis di fine anno una descrizione più completa, tuttavia già i dati resi noti in questo incontro bastano a destare allarme e preoccupazione, alimentate dai dati economici negativi, dalle notizie sui disoccupati e le imprese che chiudono, associate a tragici episodi di cronaca. Tutto ciò rinforza nei cittadini il sentimento di estraneità e disprezzo verso la politica.
Nel rapporto viene esaminato anche il fenomeno politico più significativo degli ultimi anni: la nascita e l’affermazione del Movimento 5 Stelle. Movimento alimentato dall’allontanamento degli italiani dalla politica tradizionale e che diventa elemento catalizzatore per i cittadini sempre più preoccupati (52%), sempre più arrabbiati (50, 5% che sale al 57 % tra i giovani tra i 18 e i 29 anni). La funzione del web, dei tanti social network e blog diventano da strumenti “protagonisti rivoluzionari dell’evoluzione socio politica ”. Dalla ricerca il dato più eclatante a emergere è “la netta differenziazione generazionale del suo impatto sul rapporto tra italiani e politica. Il web infatti conta molto nella formazione di opinioni politiche per l’80% dei giovani; per il 54% dei 30-44enni, per il 30% dei 45-64enni; per il 13% dei più anziani. A utilizzarlo sono maggiormente i laureati seguiti dai diplomati. Il web viene percepito comunque come uno strumento per “redimere la democrazia”. Tra le idee che maggiormente vengono condivise ci sono, oltre alla rabbia per la crisi e contro i politici, l’idea che l’euro sia la vera causa dei nostri problemi economici e sociali (58% degli elettori “grillini”) e che l’Europa sia ostaggio dei Paesi forti, Germania in testa.
Cambiano tra gli italiani anche i “nemici” nella società.. Se prima tutto ruotava intorno alle ideologie e all’identità politica e all’appartenenza di classe, oggi i fattori di tensione sono individuati nel conflitto tra chi paga o no le tasse (la pensa così il 28,5% degli italiani), tra autoctoni e immigrati, tra ricchi e poveri. Ci tengono insieme invece gli stili di vita e quella che De Rita definisce la “ceto medizzazione”, cioè un “imborghesimento pasoliniano” che porta a una sempre maggiore omologazione (dei consumi sopratutto) e un livellamento al ribasso.