di Rodolfo Fellini
(rodolfo.fellini@rai.it)
Le foto sono di Alessandro Gori (AlessandroGori.info)
Nella crisi ormai conclamata della società industriale italiana, molti vecchi mestieri stanno rapidamente tornando alla ribalta. L’ultima indagine Istat ha individuato nell’agricoltura l’unico settore con una netta crescita degli addetti, per lo più giovani laureati. Spesso le iniziative si appoggiano esclusivamente alla buona volontà dei singoli, senza poter contare su un sostegno concreto delle istituzioni.
Partendo da queste premesse, e considerando i margini di crescita che presenta anche l’allevamento del bestiame, l’organizzazione Veterinari senza frontiere ha voluto mettere a confronto l’esperienza italiana con quella di chi ancor oggi vive di pastorizia, con la formula dell’allevamento familiare, seguendo modalità rimaste immutate nei secoli. Spesso, la pastorizia si avvale della transumanza, ossia lo spostamento stagionale delle mandrie da un posto ad un altro in funzione del clima. Un tempo diffusa in tutto il mondo, la pratica è stata abbandonata man mano che i nuovi metodi di allevamento hanno migliorato le condizioni di vita dei pastori e avvicinato i luoghi di produzione ai mercati di destinazione. A ciò si aggiunge l’inurbamento di molte aree, che impediscono l’utilizzo di territori che un tempo erano pascoli.
L’esperienza tra i pastori iraniani
I Veterinari senza frontiere, convinti che anche l’allevamento familiare possa diventare un volano della sicurezza alimentare, hanno voluto mettere a confronto l’esperienza italiana con quella del popolo della tribù nomade Sahsevan, che da tempo immemorabile percorre lunghi tratturi dalle pianure fino alle cime dell’Iran nord-occidentale. L’esperienza è stata presentata anche alla rassegna Cinemambiente di Torino. “A differenza di molti progetti Ue che si svolgono nei Paesi del Sud, - spiega il capo progetto Alessandro Dessì - i destinatari della nostra esperienza siamo proprio noi europei. Lo scopo è sollevare un’attenzione maggiore sul tema dell’allevamento familiare, sensibilizzando le istituzioni europee nelle politiche di cooperazione. I partner del Sud del mondo sono portatori di conoscenza, informazioni e capacità che poi servono anche all’Europa.Molte situazioni possono mutare, ma gli animali hanno comunque un comportamento che varia in funzione del clima, da cui risulta una differenziazione dei derivati caseari. A noi interessa portare alla luce l’importanza dei sistemi marginali, perché economicamente meno produttivi, ma validissimi per la conservazione di specie e razze locali e della biodiversità naturale, che sono fondamentali per la sopravvivenza del pianeta”.
“La mobilità delle mandrie è alla base dell’allevamento, e risale a molto prima ancora che nascesse l’agricoltura. In Iran, i pastori nomadi rappresentano il 2% della popolazione, ma producono il 40% delle carni rosse. Da noi, il ritorno alla transumanza potrà funzionare se anche i pastori europei recupereranno lo spirito di adattamento alle situazioni estreme. Noi pensiamo ai tratturi quasi come a sentieri di trekking di una settimana. In Iran, sono traversate di centinaia di chilometri e di strutture mobili, per lo più tende. Non è certo un modello proponibile per l’Italia, ma molti punti di questa esperienza possono essere utili per la nostra realtà: garantire le zone di passaggio, conservare gli abbeveratoi, garantire le strutture per la caseificazione nelle zone della transumanza e favorire così la diversità dei prodotti senza strangolarli con norme sanitarie troppo severe. Cercheremo di far tesoro di questa esperienza a vantaggio delle prossime generazioni, quelle che adesso stanno tornando al campo. L’allevatore deve ridiventare un attore sociale, che contribuisce alla crescita del Paese. Ma ovviamente non è pensabile tornare alle condizioni in cui vivono i pastori iraniani. Le istituzioni dovranno quanto meno garantire l’accesso alla corrente elettrica, la copertura telefonica cellulare. L’allevatore deve avere garanzie, deve poter anche andare in ferie, come tutti gli altri lavoratori”.
Esempi da imitare
Un’esperienza simile è stata condotta tempo fa da Nunzio Marcelli, allevatore dell’Aquilano che, negli scambi con altri popoli, ha trovato una possibile chiave per il rilancio di un mestiere che vive condizioni di sempre maggior difficoltà. In una delle sue esperienze ha vissuto alcuni mesi in Afghanistan. “I cicli dei pastori Kuchi – racconta - partono dal Pakistan, attraversano l’Afghanistan, entrano in Cina, passano per l’Azerbaigian e l’Iran, per una durata totale di 2 a 4 anni. La loro è una civiltà antichissima, che pratica la pastorizia sin dai tempi di Abramo. Vivendo a stretto contatto con loro, siamo riusciti a fargli apprendere la tecnica di caseificazione con il caglio animale, che loro ignoravano, e che oggi consente una più lunga conservazione dei formaggi che producono”.
“In Italia – prosegue Marcelli - la zootecnia conosce un drastico calo rispetto alla capacità che aveva di creare distretti economici. Oggi, resiste solo nella Pianura Padana, con allevamenti intensivi, e nell’area alpina, con metodi più tradizionali, grazie a una sorta di contaminazione con i Paesi vicini. La transumanza si è sempre avvalsa di un punto di partenza e di un punto di arrivo fissi, fulcri di un’economia radicata nei secoli. Il ‘miracolo italiano’ ha portato a un drastico rimescolamento di carte: paesi come Scanno, Pescocostanzo, Pescasseroli appaiono oggi molto diversi da com’erano anche solo qualche decennio fa, anche a causa di scelte politiche. Negli anni ’70, addirittura un politico abruzzese presentò un’interrogazione parlamentare contro l’’Intervallo’ Rai, colpevole di diffondere un’immagine troppo arretrata del territorio attraverso le famose pecorelle”. “La crisi economica globale comporterà, soprattutto nell’Appennino, un progressivo abbandono delle aree di montagna, poiché le attività che vi si praticano non reggono l’intero arco dell’anno. L’Europa può anche dare un indirizzo di massima, ma sono gli Stati a dover trovare le strategie. E l’Italia non ha ancora capito le potenzialità della pastorizia. Al contrario, la Francia ha capito che, abbinato ad altre attività, l’allevamento tradizionale può gestire al meglio il territorio. Un esempio: gli albergatori della Costa azzurra pagano gli allevatori affinché, in inverno, portino le greggi nelle zone che poi, in estate, risultano più esposte agli incendi”. La pastorizia, insomma, è agonizzante ma non ancora morta. E, come spesso accade, per trovare risposte e ipotesi percorribili basta guardare appena fuori dai nostri confini.