L'Italia che non c'è più


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Siderurgia, foto di un settore in disarmo

Da Ilva a Lucchini, quel che resta di un fiore all'occhiello i

La ferriera di Trieste dopo l’Ilva di Taranto. E, ancora, la Lucchini di Piombino. La siderurgia italiana vive un momento molto difficile, con i suoi tre impianti principali ad altoforno alle prese con ristrutturazioni pesanti, fino al rischio di chiusura.

L'acciaio italiano ha una storia che parte da lontano, dalla prima meta' del XIX secolo: negli anni '50, all'inizio del boom, l'Italia contava 210 aziende siderurgiche con 259 stabilimenti. Ilva, Falck, Ferriere Fiat, Dalmine, Terni, Breda, Siac, Cogne, Redaelli, la Magona d'Italia costituivano i dieci 'campioni' nazionali. I numeri adesso sono molto diversi: in Italia ci sono tre altoforni: appunto Piombino e Taranto (dove ci sono anche convertitori all'ossigeno) e Trieste. E altri 40 siti dove sono presenti i forni elettrici, che godono di una salute relativamente migliore.

Fra alti e bassi, la produzione italiana si e' mantenuta sopra i 25 milioni di tonnellate dal 1999, prima di salire sopra i 30 milioni nel 2007 e 2008, a cui hanno fatto seguito un crollo sotto i 20 milioni nel 2009: la crisi morde e il consumo crolla del 42%, la produzione del 37%. Allora il problema fu gestito con un ampio ricorso agli ammortizzatori sociali, una soluzione che adesso diventa meno percorribile. La ripresa dopo il tracollo dura fino al giugno 2012, da allora 10 mesi di cali consecutivi. Con gli oltre 27 milioni di tonnellate del 2012 siamo comunque ancora i secondi produttori in Europa, dietro la Germania, e undicesimi nel mondo.

Ecco una rapida panoramica dei principali stabilimenti italiani.
- Ilva: il piu' grande stabilimento europeo e la 'madre' della siderurgia italiana, tanto che deve il suo nome alla versione Latina dell'isola d'Elba, da cui si estraeva l'acciaio nell'antichita'. Nata sulle ceneri dell'Italsider, e' costretta a chiudere definitivamente la sede di Genova nel 2005 dopo polemiche sulla mortalita'. A Taranto ha un indotto di circa 200 imprese, con un possibile impatto occupazionale di circa 40.000 persone.
- Lucchini: condivide con l'ilva l'aver avuto a guida Enrico Bondi, che trasforma nel 2003 la spa in una holding, prima del passaggio nel 2005 ai russi di severstal. Occupa circa 3.200 dipendenti, dal dicembre 2012 in amministrazione straordinaria sotto Piero nardi. Dal gennaio di quest'anno dichiarata insolvente dal tribunale di Livorno, sotto tutela della legge Marzano.
- Ferriera: chiamata l'Ilva del nord-est per le stesse accuse di inquinamento ambientale e di rischi per la salute, occupa circa 500 dipendenti piu' 300 dell'indotto. Resta l'unico sito a produrre ghisa in Italia.
- Ast Terni: dopo diversi passaggi di proprieta' finisce nelle mani finlandesi di Outokumpu, che pero' ora deve venderla per obblighi di antitrust Ue. Due le offerte, ma un futuro molto incerto, appesantito da perdite di gestione da 10 milioni di euro al mese. L'ultimo piano presentato a febbraio parla di 140 esuberi, 100 ricollocamenti su oltre 2.270 dipendenti.