Giustizia disciplinare e deontologia


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Quando il magistrato sbaglia cosa accade?

L’Anm respinge accuse di indulgenza corporativa sabelli_rodolfo_anm_296

di Fabrizio de Jorio
(fabrizio.dejorio@rai.it)

“Siamo contrari a interventi che tocchino condizioni, modalità e tempi delle intercettazioni". Lo ha ribadito il presidente della Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli, a margine del convegno sulla giustizia disciplinare, organizzato dall’Anm, in merito ai disegni di legge recentemente presentati alla Camera dal deputato del PdL Costa e che ricalcano la proposta di legge Alfano. I magistrati, ha aggiunto Sabelli, "sono contrari a ogni intervento che depotenzi o renda molto difficile il ricorso a questo importante strumento investigativo".

Il convegno dal tema “Giustizia disciplinare. Quale giudice, quale Giustizia”, ha visto la presenza di numerosi giudici e dei massimi vertici della magistratura associata, tra i quali, oltre al presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, il segretario generale, Maurizio Carbone, Antonio Patruno, Bernardo Petralia, Giovanni Salvi, Armando Spataro, Roberto Carrelli Palombi, Claudio Castelli, Giovanna Leboroni, Mario Fresa. Presenti anche Paolo Maria Chersevani, presidente della Associazione Italiana avvocati civilisti e Mauro Vaglio presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma. Seppur con sfumature diverse, le toghe hanno ribadito la necessità di “realizzare una giustizia disciplinare che sostenga una giurisdizione efficiente, indipendente e che rafforzi nei magistrati la fiducia in questo particolare settore dell’autogoverno”. Le toghe quindi sottolineano ancora una volta l’importanza dell’indipendenza e l’autonomia della magistratura, recentemente oggetto di accese polemiche anche a seguito della richiesta di condanna del Pubblico Ministero Ilda Boccassini nei confronti del leader del PdL, Silvio Berlusconi.

Giustizia disciplinare e deontologia: quando il magistrato sbaglia cosa accade? I magistrati sotto procedimento disciplinare aumentano

Il tema delle giustizia disciplinare attraversa un po’ tutti gli aspetti della professione del magistrato e sicuramente ha delle ricadute non solo sulla questione squisitamente disciplinare ma investono il magistrato e la giurisdizione nel suo complesso. Secondo il presidente dell’Anm, Sabelli (leggi l’intervista) quando si parla di giustizia disciplinare, quindi della responsabilità del magistrato che commette errori o che assume comportamenti che ledono la reputazione della magistratura, “si toccano argomenti come la deontologia, l’organizzazione degli uffici giudiziari, ma anche il modo in cui il giudice si manifesta anche al di fuori delle funzioni giurisdizionali”. Tradotto: se il giudice anche al di fuori delle aule di giustizia, commette atti contrari alla deontologia può essere sottoposto a sanzione disciplinare, come spiega il giudice disciplinare Paolo Auriemma nell’intervista a Televideo.

Basti pensare anche alle contestazioni più frequenti che riguardano il ritardo del deposito delle sentenze, adempimento che coinvolge non solo il singolo magistrato ma anche l’intero ufficio e la quindi responsabilità dei dirigenti ai quali è demandata l’organizzazione del lavoro di tutti i giudici di quell’ufficio. Il comportamento che il magistrato deve tenere, a parte una serie di norme contenute nel codice etico dell’Anm, è previsto nel decreto legislativo n. 109/2006 che disciplina anche il tema delle dichiarazioni pubbliche del magistrato, come interviste alla stampa, il rapporto con le parti e con i colleghi, in particolare le influenze illecite su altri colleghi al fine di condizionare l’esito di un procedimento.

Vista la delicatezza del ruolo del giudice, il legislatore ha voluto tipizzare, quindi individuare precise regole di comportamento previste non solo da codici etici interni alla magistratura, ma anche da norme giuridiche, aventi forza di legge.

Il decreto legislativo n. 109/2006 contiene quindi precetti ai quali si deve attenere un magistrato e gli illeciti disciplinari nei quali può incorrere, oltre naturalmente alle sanzioni. Gli illeciti previsti dalla legge possono essere compiuti dal magistrato sia nell’esercizio delle sue funzioni, sia fuori, ma anche in conseguenza di un reato (leggi l'intervista a Paolo Auriemma. Se, ad esempio, un magistrato emette un provvedimento privo di motivazione o affida ad altri attività che rientrano nei propri compiti, è sanzionato. Oppure se ritarda, immotivatamente, il deposito delle sentenze, ma nel caso in cui rilasci interviste su fatti o persone coinvolte nelle indagini delle quali è titolare. Piercamillo Davigo, consigliere di Cassazione, tempo fa aveva lanciato l’allarme definendo “impressionante” il crescente numero dei magistrati sotto processo disciplinare: 1382 procedimenti istruiti nel 2010 su 9000 magistrati e nel 2011 ne sono stati aperti 1622. Di questi 763 sono stati archiviati, 47 riuniti e 774 risultavano ancora pendenti a fine 2011.

Il rapporto Cepej 2012 sull’efficienza della giustizia italiana: i tempi per la definizione dei processi sono sempre più lunghi ma l’Anm respinge le accuse e denunciano “la strategia della disinformazione”

Le toghe si sono interrogate a lungo e hanno espresso “preoccupazione e perplessità” anche a seguito delle polemiche scaturite a seguito del Rapporto 2012 stilato dalla Commissione Cepej, il più autorevole misuratore internazionale dell’efficienza dei sistemi giudiziari nei 47 Stati che compongono il Consiglio d’Europa.

I dati del rapporto confermano i gravi problemi riferibili all’eccessiva durata dei procedimenti, anche rispetto al precedente rapporto, così come all’aumento complessivo dell’arretrato, nonostante la spesa per la giustizia sia aumentata del 3,2% rispetto a quanto registrato nel precedente rapporto su dati 2008. Il rapporto, oltre alle inefficienze generali, evidenzia che la lentezza dei processi, specialmente nel civile, è peggiorata: la situazione presso le sezioni civili della Corte di Cassazione è certamente negativa con una media di 1230 giorni per la definizione di un procedimento, con un aumento di 169 giorni rispetto alla rilevazione del 2008.

Il problema più grave riguarda le Corti d’Appello: nel penale si registra un costante aumento nelle durata dei procedimenti, arrivando fino a 1000 giorni per un giudizio di Appello, praticamente quasi 200 giorni in più del precedente Rapporto. Nel civile la situazione è ancora più grave: la durata media di un giudizio di secondo grado supera i 1260 giorni! Tuttavia, sarà interessante verificare se l’udienza filtro in Appello, provvedimento varato dal precedente governo, (le cosiddette modifiche alla legge Pinto), avrà avuto effetti positivi sullo smaltimento dell’arretrato e sulla durata media dei giudizi. L’Anm però non ci sta e “denuncia ancora una volta la pubblicazione su alcuni quotidiani nazionali di articoli di stampa fortemente denigratori dei magistrati, contenenti dati dei quali si è più volte documentata la falsità e affermazioni ridicole, con l’evidente ed esclusiva finalità di screditare e delegittimare il ruolo della magistratura”. I magistrati non sono responsabili delle inefficienze della giustizia, se non in casi singoli e spesso anche sanzionati dal Csm: Sabelli precisa che i magistrati “lavorano come i dirigenti e i professori universitari” tanto che la “produttività individuale media dei giudici italiani è tra le più alte d’Europa”. Spesso, denuncia Sabelli, sono costretti a lavorare “con una cronica mancanza di spazi e strumenti”.

Carrelli Palombi: Giustizia disciplinare e deontologia del magistrato, valori fondamentali di uno Stato democratico

La giustizia disciplinare e in generale la deontologia del magistrato secondo Roberto Carrelli Palombi, “è corrispondente a quei valori fondamentali di uno Stato democratico perché assicurano una forma di controllo pubblico non solo sulle funzioni ma anche sul comportamento del magistrato al di fuori delle sue funzioni giurisdizionali”. Questo, secondo Carrelli Palombi, non è solo un interesse dalla magistratura ma dell’intera collettività. L’entrata in vigore del decreto legislativo 109/2006 rappresenta una sorta di decalogo delle fattispecie di illecito disciplinare del magistrato perché all’art. 1 descrive e “tipizza” con precisione tutte le tipologie dei comportamenti che un magistrato non deve compiere per non incorrere nelle previste sanzioni disciplinari che vanno dall’ammonimento alla radiazione.

L’azione disciplinare per la magistratura ordinaria è esercitata dal ministero della Giustizia e dalla Procura generale e Giovanni Salvi, membro dell’Anm e procuratore della Repubblica a Catania, denuncia una “vera e propria campagna di mobbing” in relazione alla giustizia disciplinare, alla quale “non abbiamo risposto con la necessaria fermezza”, perché, aggiunge Salvi, “non esiste un problema di giustizia disciplinare domestica, eccessivamente morbida, acquiescente, ma il contrario. La giustizia disciplinare ormai si è equiparata ad un processo penale parallelo”. Insomma Salvi ritiene che l’art. 1 del decreto 109/2006 debba essere interpretato in modo diverso rispetto alle singole “tipizzazioni” dei comportamenti che porterebbero ad una indagine disciplinare del magistrato. Per Salvi ciò che il giudice disciplinare dovrebbe valutare, prima di esprimere un giudizio sull’eventuale illecito disciplinare compiuto da un magistrato, è “il complesso della vita professionale del giudice sottoposto ad accertamento e se questo illecito specifico abbia leso quei valori della magistratura”.

Armando Spataro: “I progetti sulla responsabilità civile del magistrato sono un attentato all’indipendenza della magistratura”

Armando Spataro, procuratore aggiunto a Milano, sul tema della responsabilità del magistrato e sull’illecito disciplinare non usa mezze parole: “I progetti sulla responsabilità civile dei magistrati si possono definire un attentato all’indipendenza della magistratura”. Da Pm e non di rado anche come avvocato disciplinare, cioè quando difende i colleghi sottoposti a indagine disciplinare, Spataro ritiene ci sia troppa “attenzione” da parte della gente che si aspetta che il magistrato che ritarda il deposito delle sentenze o che sbaglia o che magari rende una dichiarazione a tutela dell’indipendenza e della propria onorabilità sia punito. Spataro pone l’accento sulla “troppa acquiescenza da parte della Procura generale rispetto alle iniziative ministeriali” e critica le ispezioni del ministero della Giustizia, titolare dell’azione disciplinare perché “troppo assertive”. Gli esiti delle ispezioni, secondo il magistrato, “influenzano la formulazione dei capi di incolpazione” di quei magistrati oggetto di indagine disciplinare”. Spataro cita ad esempio una sua vicenda personale, quando l’Ispettorato del ministero della Giustizia allora guidato dal leghista Castelli gli chiese di spiegare il perché di una sua scelta. “Era chiaro che se avessi risposto in una certa maniera ne sarebbe potuta scaturire un’azione disciplinare. Così scrissi all’Ispettore affinché spiegasse la ragione dell’esito possibile della mia risposta perché altrimenti non avrei risposto”. La cosa è caduta lì. Una strategia che Spataro suggerisce anche ai colleghi più giovani auspicando anche che la Procura generale assuma un ruolo di filtro “più efficace rispetto alle conclusioni dell’Ispettorato del ministro”, quindi una sorta di “filtro di natura giurisdizionale” per evitare “appiattimenti frutto di una certa cortesia istituzionale” nei confronti del ministero. Anche perché l’azione disciplinare del ministero aggiunge Spataro, “può essere motivata anche da ragioni politiche” e ciò deve necessariamente suggerire “un ulteriore filtro da parte della procura disciplinare”.

> Leggi l'intervista a Rodolfo Sabelli

> Leggi l'intervista a Paolo Auriemma

> Leggi l'intervista a Luca Palamara