di Sandro Calice
di Paolo Sorrentino. Francia, Italia 2013, drammatico (Medusa)
Sceneggiatura di Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
Fotografia di Luca Bigazzi
con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Serena Grandi, Vernon Dobtcheff, Isabella Ferrari, Luca Marinelli, Giorgio Pasotti, Giulia Di Quilio, Massimo Popolizio, Giorgia Ferrero, Roberto Herlitzka, Carlo Buccirosso, Pamela Villoresi, Ivan Franek, Stefano Fregni.
Ci vuole arte e passione per vedere la bellezza nascosta o supposta dietro l'umanità cinica e volgare che abita Roma. E ci vuole l'occhio incantato di chi la vede per la prima volta per continuare a farsi bastare l'eterna e decadente bellezza della città.
Jep Gambardella ha scritto un libro, ’L'apparato umano’, più di quarant'anni fa: il successo, i premi, un talento immenso, la rendita di posizione. Del suo arrivo a Roma Jep ricorda benissimo il suo primo desiderio: non mi basta partecipare alla mondanità, io voglio essere il re dei mondani. E ci riesce Jep, giornalista ormai sessantacinquenne, un fascino intoccato dal tempo, sublime animatore di dotti consessi quanto di cafonissimi baccanali. Da quella Roma, infine, Jep si é fatto abbracciare, in modo quasi soffocante, ma senza smettere di cercare la bellezza, il motivo per cui non ha mai più scritto. Ed é un circolo vizioso, dove di notte l'uomo, con tutta la sua anima, precipita nell'ossessione del divertimento, mentre di giorno si cura e rinasce nella bellezza sacra, immensa, luminosa, segreta, anche barocca della città. Non può uscirne Jep, ma sente che deve almeno provarci.
Sorrentino dice che prende appunti per questo film praticamente da sempre, da quando venne a Roma da ragazzo. E probabilmente, anche se all'inizio una citazione ci avverte che stiamo giocando nel terreno della fantasia, c'è molto del regista nel personaggio di Jep (il solito, bravissimo Servillo), perché c'é sicuramente quella napoletanitá nobile e disincantata che consente a Jep di farsi quasi fagocitare ma non sopraffare dal mondo di cui va a diventare re. È una Roma da civiltà morente quella in cui ci guida Jep-Sorrentino, che si regge ormai solo sulle sue "pietre", ché le colonne umane hanno ceduto da tempo. È c'è sicuramente Fellini ne "La grande bellezza", anche se come dice Verdone - interprete di un riuscitissimo personaggio - mentre ne "La dolce vita" c’era l'ottimismo per il futuro, qui, oggi, il domani é minaccioso. Ma Sorrentino, probabilmente il più bravo regista italiano vivente, mastica e rielabora il cinema del maestro e tanto altro per giungere a una sua profonda, ormai chiaramente identificabile - a partire dai movimenti di camera - cifra personale (c'è, ad esempio, secondo noi, anche Leone, soprattutto nell'uso dei primissimi piani: un'espressione di Servillo a un certo punto accende il ricordo di De Niro nella fumeria d'oppio in "C’era una volta in America"). Quello che però la potente e coinvolgente visione di Sorrentino non riesce a fare é di mantenere l'emozione in crescendo, con una sceneggiatura che sembra ripetersi rischiando di perdere il magnetismo sullo spettatore. Resta comunque un film da vedere.