Fenomeni culturali in mostra


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La rabbia al museo

‘Punk: from Chaos to Couture’ punk_mostra_296

di Rita Piccolini
(rita.piccolini@rai.it)

Una mostra al Costume Institute del Metropolitano Museum di New York, curata da Andrew Bolton, celebra dal 9 maggio al prossimo 14 agosto il più trasgressivo dei movimenti artistici degli ultimi 40 anni. Le influenze punk sono più vive che mai anche oggi, in ambito musicale e soprattutto nella moda. Ma la sovversione al museo è un ossimoro. Cosa accade quando un movimento di rottura viene celebrato dalla cultura tradizionale e dall’establishment? Viene sconfitto, superato, ridimensionato, ne viene disinnescata la carica rivoluzionaria? O al contrario gli si riconosce la dignità e l’importanza di avere prodotto arte e cultura nel senso più nobile del termine? E’ un “dejà vu” questo. Ci sono già passate le avanguardie. Come non ricordare la furia iconoclasta dei Futuristi e Marinetti che si ritrovò poi accademico d’Italia? Ma forse questo è un falso problema e probabilmente sono valide entrambi le opzioni.

Sex Pistols, Ramones, Clash, Misfits, Talking Heads, Stooges. Una musica, una cultura, un modo di essere che hanno cambiato il mondo e la vita dei giovani di diverse generazioni. Dagli anni Settanta a oggi. Perché anche molti ventenni attualmente ascoltano la loro musica, la riproducono, la fanno propria. Imitano gli atteggiamenti dei protagonisti di quella cultura e continuano a vestirsi allo stesso modo per tentare di essere come loro.

Era dicembre del 1974 quando i Ramones salirono sul palco del CBGB di New York, un misero locale al 315 di Bowery Street a Manhattan che Joey Ramone era solito definire “una fogna”. Dopo quella esibizione fu proprio quel locale a divenire l’emblema dalla nuova musica: il punk. Subito il dibattito sul nuovo fenomeno socio-culturale si animò: una nuova filosofia di vita o un prodotto di subcultura? Il dibattito è tuttora aperto ma il fatto che ad esso venga dedicata una mostra fa sì che il piatto della bilancia oscilli verso la prima interpretazione.

Dalla fine degli anni Settanta la rabbia punk si respira nelle maggiori città americane e europee. Nichilismo, anarchia, sfrontatezza, aggressività sono un mix di elementi che caratterizzano un modo di essere e quindi di apparire. Ed è quindi proprio la moda l’ambito culturale che più continua a ispirarsi al punk e a cui è dedicato l’evento newyorchese.

A inventare la nuova estetica negli anni Settanta fu una giovane stilista, Vivienne Westwood che in un suo piccolo negozio su King’s Road, a Londra, cominciò a proporre l’uso degli anfibi dei minatori inglesi, le spille da balia, le magliette con scritte distruttive. Una delle più minacciose, quella con su scritto “No Future” non è stata tuttavia profetica, perché in tutte le ultime collezioni di pret à porter per la prossima stagione invernale i più grandi stilisti hanno pescato a piene mani nel repertorio punk. Proprio Vivienne Westwood è la madrina della mostra, la cui apertura è stata accompagnata da un “Met Ball” organizzato dal direttore di Vogue America, Anna Wintour. Al party dell’anno hanno partecipato, tra gli altri Madonna, Beyoncé, Sarah Jessica Parker, Mile Cyrus, tutte con calze a rete, capelli a cresta e borchie d’ordinanza.

In mostra non ci sono soltanto le creazioni storiche, ma anche quelle che continuano a ispirarsi al punk: dagli abiti borchiati di Riccardo Tisci per Givenchy, a quelli dell’ultima collezione di Donatella Versace, a quelli “spazzatura” di Moschino. Non mancano le creazioni sadomaso di Zandra Rhodes e alcune creazioni di Alexander McQueen.

A chi a Tisci chiede perché il fashion system parli ancora il linguaggio punk lo stilista risponde che “sono i periodi di crisi a far nascere tali fenomeni: una reazione alle difficoltà sociali, un urlo liberatorio che taglia i ponti con il passato”. E che nel periodo storico attuale si attraversi una gravissima crisi di sistema non ci sono dubbi. Come dargli torto?