Nel cuore del conflitto


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'Bambini all’inferno'

Da Gaza ai Territori occupati, dure storie d’infanzia bambini_gaza_296

di Mariaceleste de Martino
(mariaceleste.demartino@rai.it)

Da grandi vogliono fare il medico, l’infermiere, l’architetto per curare i malati e ricostruire le loro case. Sono i bambini di Gaza e Cisgiordania che ha incontrato Cecilia Gentile, autore del libro ‘Bambini all’inferno’, frutto di due viaggi in Palestina.

Non vogliono fare i soldati e uccidere il nemico. “Non ho visto ragazzini con il mitra in mano. Ho solo incontrato tanto bisogno di amore”, racconta Cecilia, che scrive per il quotidiano La Repubblica.

Tra i rifiuti e le baracche di Gaza ha incontrato adulti e bambini che hanno perso genitori e fratelli, che hanno visto la morte con gli occhi, eppure sorridono e hanno la gioia nei loro sguardi. “Rappresentano la speranza, il futuro”, dice Cecilia. Ma per ora vivono il presente, "tra il blocco israeliano e l'integralismo di Hamas". C’è un controllo sociale fortissimo. I soldati di Hamas li riconosci subito, hanno la barba lunga, ai posti di blocco si leggono citazioni dal Corano in inglese…”.

“Straniera”. Cecilia la chiamavano “la straniera”. Andava in giro senza velo, perché per le “straniere”, appunto, non è obbligatorio. E lei come “straniera” rappresentava una finestra sul mondo. “Non riuscivo a fare girotondo con i bambini perché tutti mi volevano dare la mano”, racconta. “Sono stati privati dell’affetto della madre, delle zie, delle sorelle, che hanno visto uccidere davanti a loro”.

Ed è proprio mano nella mano che chiediamo a Cecilia di accompagnarci nella Palestina che ha potuto vedere lei.

Ahmed, 10 anni, ha avuto la testa attraversata da un proiettile, era diventato cieco e voleva morire.

Omar, 14 anni, è già un uomo e si preoccupa di comprare dei fogli di nylon, rincarato, per proteggere la sua abitazione dal freddo.

Bilal, 9 anni, vive con il padre e altri quattro figli. È stato abbandonato dalla madre. Oltre alla guerra, anche la sofferenza affettiva. Khaled, 8 anni, è scappato passando dentro un tunnel per fuggire dall’Egitto e tornare a Gaza. Di solito è il contrario, ma lui fuggiva dalla mancanza di amore, da un padre che lo ignorava. Alla mancanza di affetto, meglio la guerra.

Emran, 12 anni ed Ejad, 11 anni, hanno lanciato sassi per scacciare gli israeliani. E sono stati anche interrogati per la loro “baby Intifada”.

Chayma, 9 anni, gioca con la sabbia, la raccoglie con una bottiglia di plastica perché non ha altro con cui divertirsi: né bambole, né palloni, men che meno una bicicletta.

Musa, 15 anni, ha una gamba deformata per via dei ferri infilati nell’osso, conseguenza di una ferita profonda causata da uno sparo di un colono.

Yaser, 10 anni, sogna una casa perché la sua è stata buttata giù dai bulldozer israeliani.

Noor, 11 anni, ha visto morire suo fratello.

Adham, 8 anni, è scalzo, raccoglie plastica per rivenderla. Lavora prima di andare a scuola.

Amal, 11 anni, della “tribù” Samouni, “quasi interamente sterminata dalla guerra”, ha visto suo padre morire. Il fratello di 4 anni è morto tra le braccia della madre. E a Mona, 11 anni, le è morta tutta la famiglia: padre, madre, fratelli, mogli dei fratelli e i loro figli. “Con loro ho raccolto conchiglie al mare. Conserva la sabbia di Gaza con amore”, ricorda Cecilia Gentile.

“Mai perdonare, mai dimenticare”. È la scritta su una lapide in una piazza a Nablus, in Cisgiordania, che ricorda l'“invasione” dell’esercito israeliano nel 2002. “Il dono che ho ricevuto è stato quello di sentire gli abitanti del luogo come individui. Li ho apprezzati come persone”, dice Cecilia, “Sono rimasta in contatto fino a poco tempo fa con le bambine Samouni che non facevano altro che ripetere ‘Torna Cecilia, torna!’.

“Non ho mai pianto, non sono mai stata sovraffatta dal dolore di questi bambini, ma assieme a loro e alla loro sofferenza ho vissuto la quotidianità e li ho ascoltati, condividendo la loro vita”. È stata l’esperienza più intensa della mia vita”.

Si rendono conto che il loro nemico non è solo Israele?
“Odio gli israeliani, ovvero soldati e coloni, è quello che dicono, perché la presenza sul campo è sproporzionata. È stato un voto di scontento quello dato ad Hamas. La popolazione era delusa da Fatah. Ma ora non voterebbe più per Hamas, che infatti non vuole le elezioni come richieste dalla gente”.

Foto di Cecilia Gentile, la terza immagine è tratta dalla copertina del suo libro.