di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)
Alanis Morissette – Live at Motreaux 2012 (Eagle Records)
Alanis Morissette è una delle più belle sorprese della musica rock al femminile degli ultimi vent’anni, insieme alla californiana Beth Hart che , al contrario della rockeuse di Ottawa, è conosciuta solo nel suo quartiere. Scoperta dalla Maverick di Madonna, Alanis Morissette si era già messa in luce all’inizio degli anni ’90 come conduttrice televisiva ed aveva pubblicato un paio di album di dance-pop, fatti sparire dalla circolazione non appena “Jagged Little Pill”, l’album d’esordio (1994), balzò in vetta alle classifiche statunitensi. Da allora la ragazza è diventata il simbolo della rabbia femminile, icona di un post-femminismo barricadero. Sessanta milioni di copie vendute dei suoi dieci album (l’ultimo, “Havoc and the bright light” è dello scorso anno), sette Grammy, una mini-carriera di attrice (ha interpretato la parte di Dio nel film “Dogma” di Kevin Smith. Per la serie : chi l’ha detto che Dio è un uomo?). Questo per quanto riguarda la carriera della ragazza, che nel 2012, nel corso del suo ultimo tour , ha fatto tappa a Montreux, in Svizzera, dove in estate si tiene un prestigioso jazz festival. La registrazione del concerto del 2 luglio del 2012 all’auditorium Stravinsky è stata pubblicata su cd e su dvd con il titolo di “Live at Montreaux”. Nulla di nuovo sotto al sole, ovviamente, ma bisogna dire che la dimensione teatrale è estremamente congeniale alla Morissette che, pur incarnando una figura di rockeuse da battaglia, riesce, in queste circostanze, ad “abbassare i toni”, tanto per usare una locuzione politichese assai in voga. Come era già successo nel “Mtv Unplugged” , album delizioso, nel quale le sonorità semi-acustiche delineavano perfettamente il disegno delle canzoni, anche in questo caso l’arrangiamento ammorbidito arricchisce le esecuzioni dei brani. Che, se è vero che perdono parte della loro carica rabbiosa, è d’altro canto vero che la bellezza di canzoni come “Hand in my pocket”, “Thank U”, “You learn”, “You oughta know” emerge in tutto il suo splendore. Anche i brani tratti dall’ultimo album, “Havoc”, “Woman Down”, “I remain”, “Guardian”, fanno la loro bella figura accanto ai vecchi classici. In definitiva, meglio dal vivo che in studio, meglio i toni morbidi che quelli da fachiro.
J.J. Grey & Mofro – This river (Proper Records)
Chi sono questi illustri Carneadi, che rispondono al nome di J.J. Grey & Mofro? Boh, se ne sa poco. Vengono da Jacksonville, Florida (la stessa città degli Allmann e dei Lynyrd), hanno esordito nel 2001 con “Blackwater”, un album che il sito di vendite online Amazon ha definito miglior album dell’anno e uno dei migliori della decade. Quanto basta per pungolare i curiosi del suono e spingerli alla ricerca topo-bibliotecaria. Così si apprende che il capobanda, J.J. Grey, canta, suona tastiere, chitarre varie e armonica, e che i Mofro sono ben sei, compresi sax tenore e tromba. La domanda legittima è: che musica fanno? Chi ricorda le grandi band del vecchio sud, gli Allman Bros, I Lynyrd Skynyrd, gli Outlaws, perfino i più nordici Dave Matthews Band, e soprattutto i LitteFeat, sa già in che parte del mondo siamo: Soul funk, rhythm ‘n blues, blues e southern rock, con spruzzate di Otis Redding e Sam & Dave. Una bella mescolata ed è pronto il cocktail. Che va servito ben ghiacciato non fra le spiagge dorate di South Beach ma in mezzo alle paludi limacciose delle Everglades. Se non l’avete visto guardatevi “Le paludi della morte” (di Amii Mann , figlia del più noto Michael, 2011). J.J. Grey potrebbe esserne la colonna sonora ideale. This river “è un gran bell’album, che trascina e diverte, con un sound gonfio di musiche varie, trascinate dal filo conduttore del southern rock, dal sapore vintage, ma che qualche volta si diverte a scompaginare le idee all’ascoltatore dirottando la propria locomotiva verso sonorità alla Prince (“Florabama”). Un album che va ascoltato davanti ad un Big Mac e ad una montagna di patatine fritte.