Musica - i consigli della settimana


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Estroversione ed introversione

Nuovi album per John Gran e Bruce Springsteen

di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)


John GrantPale Green Ghosts (Bellaunion)

I “pale green ghosts” di John Grant sono gli alberi verde chiaro che fioriscono lungo la Interstate 25, che unisce Denver a Parker, in Colorado, dove il cantautore statunitense ha vissuto a lungo. Personaggio schivo, introverso, timido al punto da aver paura perfino della sua ombra, gay dichiarato e sieropositivo, Grant ha l’aspetto di un predicatore battista del vecchio West. A soli 40 anni, il ragazzo tradisce tratti somatici da uomo maturo. Sarà la barba, saranno le difficili prove che ha dovuto superare nella vita, fatto sta che , a sentire questo suo secondo album, ci si aspetterebbe di veder emergere dai solchi canzoni alla Woody Guthrie, folk operaio da America profonda. E invece, dopo aver esordito tre anni fa con “Queen of Denkmark”, gran capolavoro acustico, per la sua seconda prova d’autore Grant ha abbracciato l’elettronica. E’ andato a Reykjavik, in Islanda, ed ha registrato “Pale green Ghosts” sotto la supervisione di Biggi Veira del Gus Gus. Dentro c’ha messo la sua abilità compositiva, frizionata con sonorità elettroniche molto anni ‘’80 (“Sensitive new age”, ricorda assai da vicino gli Eurythmics e i Talking Heads). In pratica, Bronsky Beat, Ultravox, Depeche Mode, perfino gli Abba sono rintracciabili fra i suoni di “Pale green ghosts” . Sono i suoni con cui Grant è cresciuto, e adesso sono riaffiorati in superficie. Originale è il connubio con la forma canzone tradizionale, che non viene stravolta, ma piuttosto arricchita, perché Grant non ha sovraccaricato i suoni, che in pratica fondono passato e presente rendendo possibile un matrimonio antitetico. In “Why don’t you love me anymore” fa capolino la voce di Sinead O’Connor. Fra gli 11 brani, alcuni sono perle vecchio stampo. (“Gmf” , “It doesn’t matter to him”, “Glacier”). Inconsuieto, da detestare o da amare.


Bruce SpringsteenCollection 1973 – 2012 (Columbia)

Ha senso parlare ancora di Bruce Springsteen? Per dire cosa, che non sia stato già detto e ripetuto da quel lontano giorno del 1975, quando il giornalista Jon Landau scrisse l’epitaffio del Boss: “Ho visto il futuro del rock’n roll, e il suo nome è Bruce Springsteen”. Mai profeta fu più profetico. Il rocker del New Jersey è in tour, sequel scontato di quello dell’anno scorso, che è il sequel di quello precedente e così via, a ritroso. Un neverending tour, come quelli di Bob Dylan e Francesco De Gregori, gente che, arrivata ai 50 anni, sistemati figli e famigli, riprende in mano la chitarra e si rimette a fare quello che sa fare meglio: suonare. Fra un mese Springsteen sarà in Italia (qui sotto le date), e per l’occasione la sua casa discografica ha messo in commercio un Bignami della sua carriera. L’album sarà venduto solamente nei paesi dove il tour farà tappa. Già la cover è emblematica. Il Boss, appoggiato ad un pick-up anni 50, t-shirt e jeans, è il manifesto in carne ed ossa della sua musica. La strada e la classe operaia, gli ardori giovanili e le delusioni senili, il sogno americano infranto e la speranza che non muore mai. Sono una serie di leit – motiv che hanno guidato, nel corso della sua lunga carriera, le tematiche della sua musica ed i cambiamenti avvenuti nel corso degli anni. Ovviamente, selezionare 18 brani sulle centinaia composti dal Boss ha comportato dolorose esclusioni. Necessità fa virtù. Quindi, si va da “Rosalita”, tratta da “The wild, the innocent & the E- Street shuffle (1973), a “Wrecking Ball”, title track dell’omonimo album dello scorso anno. In mezzo, più o meno un titolo per ogni album pubblicato, tratti anche da quelli considerati minori, come “Working on a dream” o “Magic”. In più “Streets of Philadelphia”, colonna sonora del film di Jonathan Demme. Per il resto, tutto sentito già migliaia di volte. Senza accusare stanchezza.

Queste le date italiane del Wrecking Ball Tour 2013 : 23 maggio Napoli, 31 maggio Padova, 3 giugno Milano, 11 luglio Roma.