Marea nera nel Golfo del Messico


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Il petrolio che non si vede

Il disastro Deepwater Horizon compie tre anni. Intervista a Eva Alessi, ecotossicologa WWF.

di Valerio Ruggiero

I numeri sono spaventosi: undici morti, diciassette feriti, 86 giorni di riversamento di petrolio in mare per un totale stimato in 5 milioni di barili (800 milioni di litri), solo in parte recuperati, dissolti, digeriti o bruciati. E’ la tragedia della Deepwater Horizon, la piattaforma affittata dalla British Petroleum che il 20 aprile del 2010 esplose nel Golfo del Messico provocando il peggior disastro ambientale nella storia degli Stati Uniti.

Tre anni dopo, la ferita resta aperta. A prima vista, il mare è tornato pulito. Ma gran parte della marea nera che travolse l’ecosistema locale è ancora lì, adagiata sul fondale marino a due chilometri di profondità, e nella catena alimentare e riproduttiva di alghe, molluschi, pesci, mammiferi marini, uccelli ed esseri umani.

“Sebbene quasi invisibile a occhio nudo, il petrolio non è scomparso, ancora c’è” , spiega a Televideo Eva Alessi, ecotossicologa responsabile del WWF per la Sostenibilità. “Immediatamente dopo il disastro, che ha visto la morte di uccelli e mammiferi marini, pesci e tartarughe, il petrolio (ma anche le operazione deputate a rimuoverlo) ha distrutto i luoghi e gli habitat deputati alla riproduzione e/ all’alimentazione di molte specie marine. Gli effetti sono estremamente evidenti: le popolazioni, per esempio, di delfini decimate rispetto a prima dell’incidente. Il petrolio rimasto in mare si inoltre è diffuso su vaste aree, con gravissimi danni sugli ecosistemi marino-pelagici, inclusi quelli bentonici, e sugli ecosistemi marino-costieri, sulla biodiversità, i cui equilibri sono stati modificati. Ai danni ambientali vanno aggiunti i danni alla salute umana, quelli sociali e al benessere socio-economico nell’intera area del Golfo del Messico".

Fino a quando si faranno sentire nell'ecosistema le conseguenze della catastrofe?
“I tempi di ripristino a seguito di uno sversamento possono perdurare fino a oltre 30 anni. Non esiste una correlazione precisa tra l’entità di uno sversamento e l’estensione del danno, in quanto numerosi altri fattori influenzano il grado del danno ed i tempi di ripristino. Il petrolio sversato inizialmente si sparge sulla superficie d’acqua formando una pellicola che cambia di spessore e di composizione a seconda della temperatura e del movimento dell'acqua. Alla evaporazione si aggiungono processi di emulsione, aerosol, fotossidazione che portano alla formazione di una sottile pellicola superficiale e masserelle che galleggiando si spostano anche per grandi distanze. Dopo l'evaporazione dei composti volatili tossici, ha inizio l'azione di biodegradazione degli idrocarburi da parte dei microorganismi marini".

"Il petrolio è costituito da un miscuglio di idrocarburi, tra cui gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici), che sono i composti più tossici della classe degli idrocarburi e, a causa della loro natura lipofilica, possono facilmente attraversare le membrane biologiche ed accumularsi negli organismi, dove possono causare danni al materiale genetico. Gli uccelli marini sono le vittime più conosciute e più studiate negli sversamenti da petrolio. Il primo effetto macroscopico dell'inquinamento da petrolio sugli uccelli è la distruzione dell'effetto protettivo delle penne, ma danni meno evidenti - ma non per questo meno pericolosi – li attendono con il tempo e sono quelli derivanti dal bioaccumulo, cioè dall'aumento di una o più sostanze tossiche nel loro organismo attraverso la respirazione, il cibo o il contatto. Le conseguenze possono essere molto gravi: alterazione della riproduzione e del sistema ormonale, immunotossicità, teratogenesi, carcinogenesi, alterazioni ormonali. Ma non sono solo gli uccelli a subire gli effetti. Molte specie altre animali – praticamente tutte quelle dell’ecosistema colpito - vengono influenzate negativamente in seguito a immissioni di petrolio, sia a breve sia a lungo termine".

Ritiene che si sia imparato qualcosa dalla tragedia della piattaforma della Bp?
"A distanza di 3 anni dalla catastrofe della Deepwater Horizon, uno dei più grandi disastri ambientali della storia, la valutazione dei danni e le riflessioni sulle misure intraprese per contrastarli non sono concluse. Dopo la super multa alla BP, i circa cinque milioni di barili sversati nel Golfo sono ancora fonte di grande preoccupazione e lo sono anche le strategie messe in atto per rimuoverli, che potrebbero non aver dato i risultati sperati. Secondo uno studio pubblicato dal Georgia Institute of Technology, infatti, il disperdente per il petrolio, impiegato nelle operazioni di pulizia, potrebbe avere rilasciato un cocktail molto più tossico del petrolio stesso. Quello che abbiamo imparato da questa vicenda (ma che avremmo dovuto già sapere!) è che è necessaria un'adeguata e più profonda conoscenza dell'ambiente, rispondendo a tanti interrogativi ancora aperti sugli effetti biologici del petrolio sugli ecosistemi marini. E’ prioritario includere in queste ricerche anche gli effetti dei disperdenti utilizzati nella operazioni di clean-up e delle loro miscele con il petrolio. Infine è urgente investire nello sviluppo di tecnologie che intervengano prima di tutto sulla prevenzione di tali disastri, sulla gestione della crisi e sul suo monitoraggio".