di Sandro Calice
di Alessandro Gassman, Italia 2012, drammatico (Moviemax)
Fotografia di Federico Schlatter
con Alessandro Gassman, Giovanni Anzaldo, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Matteo Taranto, Michele Placido, Madalina Ghenea, Carolina Fachinetti.
“E' vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei”. E’ in questo aforisma di Jean-Paul Sartre, detto da uno dei protagonisti, che è (o vorrebbe essere) il senso del film.
Roman è un immigrato rumeno che vive nello squallore dopo essere fuggito 30 anni prima dalla miseria. Abita in una casa abusiva alla periferia di Latina ed è uno spacciatore di cocaina. Non è mai riuscito a liberarsi dalle catene di quell’esistenza, ed allora ha deciso di condurla fino in fondo per garantire un futuro e una nuova vita a suo figlio Nicu, il suo Cucciolo, abbandonato alla nascita, 18 anni prima, da sua madre. La vita di Roman è fatta di espedienti e di rabbia, di rischio ed istinto, di forza e disperazione, tra amici pronti a morire per te o disposti a venderti per nulla. E’ questo che vede e ha imparato Nicu, che pure è diverso dal padre, ma forse non abbastanza.
“Razzabastarda” è un adattamento della piece teatrale portata in scena da De Niro a Off Broadway nel 1984, “Cuba and His Teddy Bear” di Reinaldo Povod, che racconta la storia di un rapporto d'amore contrastato tra un padre, spacciatore di eroina, e un figlio tossicodipendente, ambientata tra i profughi cubani nel Bronx negli anni '60. Gassman, che qui esordisce alla regia e che ha già portato questa storia in teatro col titolo di “Roman e il suo cucciolo”, dice di non aver pensato tanto a Pasolini, piuttosto “Razzabastarda” potrebbe essere un “lontano cugino” di “La Haine” (L’odio), il film di Mathieu Kassovitz del 1995 sulle Banlieue di Parigi. Da qui anche l’uso di un efficace bianco e nero, essenziale, metallico, sporco, con una fotografia (e una grafica) che ricordano il “Sin City” di Robert Rodriguez. Un po’ fumetto, in effetti, questo film lo è: nel senso spiegato dallo stesso regista quando dice: “Credo che papà avrebbe amato questo film senza orpelli: credibile, ma non totalmente realistico”. I personaggi sono spesso e volutamente caricaturali, con toni e comportamenti sopra le righe, senza però scadere nella macchietta, mantenendo anzi la giusta dose di tragicità. Il limite semmai è che a un certo punto danno l’impressione di restare un po’ fermi, di avvitarsi su se stessi, lasciandosi condurre dalla storia piuttosto che imprimerle una direzione. Un esordio, comunque, che ci sentiamo di promuovere.
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