Scontati 22 anni di pena


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Pietro Maso torna libero

Condanna finita per l'ex ragazzo che il 17 aprile del 1991 massacrò i genitori m

Piero Maso, dopo 22 anni di carcere, ha lasciato il penitenziario di Opera, nel milanese, per tornare a essere un uomo libero. In un libro, nelle librerie per i 'tipi' della Mondadori, "Io ero il male", racconta la sua storia, l'omicidio dei genitori, la sua vita, il carcere. Alle spalle si lascia 22 anni di reclusione dei 30 a cui era stato condannato per l'omicidio, il 17 aprile 1991 nella sua casa di Montecchio di Crosara in provincia di Verona, dei genitori: Antonio Maso (56 anni) e Mariarosa Tessari (48). Gli 8 anni di carcere in meno si devono ai tre anni di indulto e a 1800 giorni di liberazione anticipata. L'omicidio a suo tempo fece molto scalpore proprio per la ferocia del gesto, la premeditazione e l'assenza di motivazioni. O meglio proprio per le motivazioni: semplicemente intascare l'eredita'. Nel 2008 ha ottenuto la semilibertà e si è sposato con Stefania. Il 28 ottobre 2006 invece ebbe il primo permesso premio. Con la sua definitiva scarcerazione e il ritorno alla libertà, Maso non lavorerà più negli uffici del Provveditorato regionale delle Carceri, dove faceva le pulizie, in quanto il contratto è decaduto automaticamente.

Un delitto pianificato da tempo
Il delitto era stato pianificato da tempo, ed era stato preceduto da ben tre tentativi falliti. Ma nulla faceva presupporre quanto accaduto quella sera di aprile, quando Pietro Maso, che non aveva problemi psicologici e neanche un rapporto particolarmente tormentato con i genitori, li massacra, con l'aiuto di tre complici, Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza (entrambi diciottenni), e Damiano Burato (all'epoca ancora minorenne). La situazione precipita quando Giorgio, che aveva ottenuto un prestito in banca di 24 milioni di lire per comprarsi un'auto, decide di sperperare quel gruzzoletto insieme a Pietro, per fare la 'bella vita'. Al momento della restituzione, Pietro, allora, decide di staccare un assegno del conto intestato alla madre, imitandone la firma e consegnando cosi' 25 milioni all'amico. Il delitto deve quindi essere messo in atto prima che la signora Rosa si accorga dell'ammanco. Avviene nella notte tra 17 e il 18 aprile 1991. Quella sera Maso, Carbognin, Cavazza e Burato si ritrovano in un bar di Montecchia. Un loro amico, Michele, e' informato del progetto affinche' ne prenda parte, ma crede che i quattro ragazzi stiano scherzando, e li riaccompagna a casa.

La perizia psichiatrica sanci' la sanita' mentale per tutti gli imputati. Nulla lasciava presupporre nella vita del giovane Maso, ultimo di tre fratelli, la 'ferocia' di quell'omicidio. Questo almeno fino a circa un anno prima del delitto, quando diciannovenne, lascia gli studi di agraria, fa dei lavoretti saltuari e insoddisfacenti, che lascia presto per dedicarsi alle uscite serali, al divertimento nei locali notturni e al gioco d'azzardo. I precedenti tentativi, scoperti casualmente dalla signora Tessari, la insospettirono ma solo al punto da farle chiedere spiegazioni al figlio. Certo mai avrebbe pensato che stava premeditando di fare fuori lei e suo marito. E poi Pietro aveva sempre la risposta pronta. Un giorno, Mariarosa trovo' due bombole di gas in cantina e dei vestiti ammucchiati nel camino. Mandare a fuoco la villetta, facendo esplodere le bombole. Questo era il piano. Pietro candidamente disse che servivano per alimentare delle stufe in vista di una festa. Il colpo ando' a vuoto perche' le manopole delle bombole erano rimaste chiuse. Altri due tentativi, nei quali Giorgio Carbognin avrebbe dovuto colpire a morte i genitori di Maso, andarono a vuoto, solo perche' il ragazzo all'ultimo momento non ebbe il coraggio. Lo ha avuto, infine, Pietro.

Poco dopo le 23, arrivano genitori di Pietro, entrano con l'auto dal garage. Antonio accende la luce ma si accorge che manca la corrente. Cosi' sale le scale per raggiungere, al primo piano, il contatore. Arrivato in cucina, viene subito colpito dal figlio, armato di un tubo di ferro. Damiano lo colpisce a sua volta con una pentola. Poco dopo arriva Mariarosa e viene aggredita da Paolo e Giorgio, armati rispettivamente di un bloccasterzo e un'altra pentola. La madre di Pietro non muore sul colpo. Ed e' il figlio che interviene per 'finirla': cerca di soffocarla mettendole in gola del cotone e chiudendole la faccia in un sacchetto di nylon. Nel frattempo Paolo si accanisce contro Antonio Maso premendogli il piede sulla gola. Questo finche' i due non muoiono. Poi Pietro e Giorgio, per crearsi un alibi, se ne vanno in discoteca. Quando rientra da l'allarme. La prima pista e' un delitto a scopo di rapina. Ma presto l'atteggiamento 'tranquillo' del giovane insospettisce gli investigatori. E poi c'e' la storia dell'assegno. Una delle sorelle, Laura si accorge dell'uscita di 25 milioni dal conto della madre e trova, lo stesso giorno, la firma falsa di Rosa Tessari e la scritta della cifra per esteso sulla rubrica telefonica di casa. Pietro viene messo sotto torchio e dopo due giorni confessa tutto. Dopo di lui, anche i tre amici. Tutti vengono arrestati per omicidio volontario, accusa che a chiusura d'istruttoria diventera' duplice omicidio volontario premeditato pluriaggravato. La sentenza viene emessa nel 92 e successivamente confermata dalla Corte di cassazione: a Pietro Maso vengono dati 30 anni e 2 mesi di reclusione. Cavazza e Carbognin a 26 anni. Mentre Burato, non ancora diciottenne, viene condannato a 13 anni.