Intervistiamo il prof. Gabriele Carbone, direttore sanitario del Centro demenze dell‘Italian Hospital Group, di Guidonia, in provincia di Roma, unica realtà regionale e italiana, accreditata con il SSR. All’interno della struttura, oltre al Centro UVA (che eroga prestazioni ambulatoriali per diagnosi e trattamenti farmacologici) è stata realizzata una rete integrata di servizi socio-sanitari per malati di Alzheimer che permette di assisterli sia in regime di ricovero, sia di semiresidenzialità (Centro Diurno) e di assistenza domiciliare (www.italianhospitalgroup.it).
Professore, il malato colpito dalla demenza di Alzheimer non può guarire; oltre alle terapie farmacologiche ci sono interventi e tecniche riabilitative che possono rallentare la progressione della malattia e migliorarne la qualità di vita?
Certamente si. Gli interventi riabilitativi sono sicuramente di grande utilità per offrire al malato la possibilità di migliorare o conservare le autonomie funzionali, con i limiti comunque imposti dalla patologia. Quindi, anche se l’obiettivo degli interventi riabilitativi cognitivi e funzionali per un malato di Alzheimer non può essere quello della “restitutio ad integrum” proprio per la natura degenerativa progressiva della malattia, sono di certo indispensabili per cercare di mantenere più a lungo le autonomie funzionali e migliorare la sua qualità di vita.
Nello specifico quali sono gli interventi riabilitativi che possono essere di aiuto per questi malati e per le loro famiglie?
Gli interventi riabilitativi devono comprendere tutte le misure che mirano a ridurre l’impatto della disabilità e dell’handicap e consentire al paziente demente di ottenere la massima autonomia funzionale, in modo particolare nel suo ambiente domestico. Oltre ad interventi diretti sul malato per stimolare la sue funzioni cognitive e le attività funzionali (vestirsi, mangiare, gestire la propria igiene, ecc.) bisogna anche intervenire sugli ambienti domestici facilitandone la fruibilità e rendendoli più sicuri (ad es. quando il malato ha difficoltà ad orientarsi, si possono utilizzare immagini o scritte che identificano gli ambienti di casa). Non meno importati sono iniziative informative formative sulle “badanti” e gli interventi di sostegno psicologico sul caregiver di questi pazienti Aiutare il malato e la propria famiglia a restare nelle migliori condizioni e per il maggior tempo possibile anche attraverso specifiche strategie e tecniche riabilitativo-assistenziali diventa così un obiettivo di successo etico, economico e sociale in attesa che nuovi farmaci possano aggredire la causa che innesca la malattia di Alzheimer.
Ci sono dati della letteratura scientifica che sostengono l’utilità degli interventi riabilitativi anche sui pazienti colpiti da demenza?
A sostegno dell’utilità degli interventi riabilitativi sono anche le e più recenti evidenze della letteratura che dimostrano che il cervello ha la capacità, anche in età avanzata, di riadattare e riorganizzare la propria microstruttura (plasticità) ripristinando connessioni tra i neuroni e così recuperare in parte o totalmente funzioni perdute. L’esempio di più immediata comprensione della plasticità “plasticità” delle cellule nervose è il recupero delle funzioni motorie o del linguaggio che si può avere dopo un evento cerebrale acuto (ictus ischemico) che le aveva compromesse. Anche in nostro recente lavoro appena pubblicato sugli Annali dell’Istituto Superiore di Sanità, abbiamo potuto dimostrare la validità dei trattamenti riabilitativi anche in pazienti assistiti a domicilio. I pazienti già dopo un periodo di 3 mesi di interventi riabilitativo assistenziali sono migliorati negli cognitivo-funzionali e hanno avuto una riduzione dei disturbi del comportamento; questo ha avuto come conseguenza anche un miglioramento anche della qualità di vita del proprio caregiver. Poiché la demenza di Alzheimer ha una evoluzione progressiva, per mantenere o comunque rallentarne l’evoluzione è importante che gli interventi riabilitativo assistenziali siano assicurati con continuità e siano di volta in volta adattati allo stato clinico del paziente.
L’attuale organizzazione dei servizi sanitari è sufficientemente in grado di rispondere alle esigenze dei malati?
Allo stato, i servizi socio-sanitari esistenti non sempre sono in grado di rispondere ai bisogni dei malati e di affrontare le diverse necessità riabilitativo e socio-assistenziali che si presentano, sempre diverse, nel lungo decorso della malattia. I presidi ospedalieri e i Centri territoriali (le UVA) spesso si limitano a fare diagnosi, a prescrivere una terapia farmacologica, per poi lasciare il paziente e la famiglia senza un progetto riabilitativo e socio-assistenziale. Visto anche il preoccupante aumento del numero di malati diventa pertanto sempre più urgente affrontare in modo organico la gestione della demenza sia nell’aspetto terapeutico-riabilitativo che per l’aspetto socio–assistenziale. Il primo realizzabile attraverso intervento multidimensionale (olistico) specifico per la fase di malattia e incentrato sulla gestione dei sintomi manifestati ; Il secondo, decisamente importante quanto il primo, basato sulla creazione di una su una rete di assistenza che dia dignità al paziente e sollievo alla famiglia. Infatti, come emerge anche dai dati della letteratura scientifica più recente, l’intervento è più efficace se la terapia farmacologica è associata a interventi riabilitativi e socio-assistenziali complementari e sinergici per i vari aspetti della malattia (cognitivo, comportamentale, funzionale, affettivo e di sostegno al caregiver).
L’Italia, come ha sottolineato l’Oms, è uno dei tanti paesi nei quali ancora non esiste Piano nazionale sulle demenze. Cosa ne pensa?
Medici, ricercatori e tutto il personale socio-sanitario sono quotidianamente in trincea per sopperire alle enormi difficoltà del sistema sanitario anche in assenza di un quadro normativo nazionale, che auspichiamo sia varato al più presto. Tuttavia tra le regioni virtuose c’è il Lazio che con la legge Regionale n. 6, del 12 giugno 2012, disegna una rete che integra strettamente fra di loro l´aspetto di diagnosi e cura con quello dei servizi sociali, per garantire così una continuità assistenziale a lungo termine (“la presa in carico socio-sanitaria”), mirata al ´benessere´ del triangolo sociale costituito da malati, operatori e caregiver. La legge c’è speriamo presto trovi applicazione. (FdJ)