di Rodolfo Fellini
(rodolfo.fellini@rai.it)
Rafforzare il modello del socialismo bolivariano, che ha migliorato le condizioni di vita delle classi più povere, o provare a rendere il Venezuela più competitivo e meno dipendente dal petrolio. A distanza di sei mesi, e con un copione molto simile a quello dell’ultimo voto, il Paese torna alle urne per eleggere il suo nuovo presidente. Per la prima volta in 14 anni, a palazzo Miraflores arriverà un inquilino diverso da Hugo Chavez, morto il mese scorso dopo una lunga malattia. La sfida vede in pista 7 candidati, tra cui due donne. Ma la vera partita oppone il cinquantenne Nicolas Maduro, numero due del defunto presidente, all’avvocato quarantenne Henrique Capriles, rampollo di una famiglia influente, l’unico che sia riuscito a impensierire alle ultime elezioni il padre del bolivarismo. I risultati del 7 ottobre mostrarono un preoccupante calo dei consensi per Chavez. Già malato, ma resuscitato per la campagna elettorale, il “caudillo” ottenne il 54% dei voti: il suo minimo storico. Capriles, pur sconfitto, ebbe un notevole successo personale, con quasi il 45% delle preferenze. Oggi Chavez non c’è più, ma il suo modello di nazione solidale, una “petrorepubblica” che ricalca dinamiche presenti in Stati fortemente assistenziali, come l’Arabia saudita, resta vivo più che mai.
Isolazionismo, programmi sociali e retorica
Tutti i sondaggi danno per favorito Maduro, politico di lungo corso che dopo la morte di Chavez ha assunto i poteri presidenziali pro tempore. Militante di sinistra fin da ragazzino, abile oratore perfettamente a suo agio nella retorica chavista, Maduro occupa da un decennio posti di grande prestigio al vertice delle istituzioni. Ministro degli esteri dal 2006, è il principale responsabile di alcune scelte che hanno favorito l’isolamento del Venezuela, non ultima quella di rompere le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, nel 2010. Le frequentazioni di Ahmadinejad, Lukashenko e Assad sono però in qualche modo bilanciate da una sorta di alleanza panamericana con Ecuador, Bolivia, Nicaragua, Cuba e Argentina. Nella campagna elettorale, Maduro ha cavalcato un “evergreeen” del suo predecessore, e ha denunciato un complotto che due ex ambasciatori degli Stati Uniti avrebbero ordito per ucciderlo. Henrique Capriles è l’unico esponente politico che, nei 14 anni di dominio chavista, è riuscito a rimettere insieme i pezzi di un’opposizione a lungo disgregata. La sua ricetta punta a trasformare l’attuale modello socialista in una socialdemocrazia che sappia aprirsi al liberismo, un po’ come ha fatto Lula in Brasile. Capriles contesta il modello di Stato-Partito, frutto di governi troppo autoritari e personalistici. Ha fatto tesoro della precedente campagna presidenziale per sfoderare una retorica più incisiva, con la quale spera di conquistare i favori di almeno una parte dei ceti disagiati: “Dio ci fa combattere una lotta eroica tra il bene e il male, tra il popolo e il potere dello Stato, tra la menzogna e la verità”, ha detto nel suo comizio conclusivo. A fare da sfondo al duello tra Maduro e Capriles, la conseguenze della crisi economica globale su un'economia cui il solo petrolio comincia a non bastare più, se è vero che l'inflazione ha ripreso a galoppare e, non più tardi di un mese fa, il governo si è visto costretto a svalutare il bolivar del 46%.
Quasi un copione da telenovela
L'intera campagna elettorale è ruotata attorno alla necessità di mantenere e aumentare il benessere di un popolo che, fino a non molti anni fa, era tra i più poveri dell’America Latina. Maduro accusa Capriles di voler smantellare lo stato sociale e privatizzare l’industria petrolifera, che lo finanzia. Secondo il delfino di Chavez, il candidato dell’opposizione è “un pupazzo nelle mani della destra e degli interessi imperialistici di Washington”. Capriles rispedisce le critiche al mittente, promette di aumentare il salario minimo del 40% e rivendica la sua ricetta progressista e democratica: “Istruzione gratuita, alloggi e una sanità efficiente sono un diritto per tutti i venezuelani, non per i soli iscritti a un partito”. I toni, ancora una volta, sono stati aspri, per non dire violenti. Accuse e insulti a profusione, con l’intramontabile contrapposizione ricchi-poveri a farla da padrone. Quasi un copione da telenovela. “I borghesi non sanno cosa significhi alzarsi alle 4 del mattino, nutrirsi con un pezzo di pane e andare a lavorare duro per mantenere una famiglia. Capriles sa solo contare i soldi guadagnati sfruttando gli altri”, dice Maduro, ex autista di pullman, consapevole di quanto ostentare le sue umili origini possa tornargli utile. Capriles si difende: “Maduro non è Chavez, e io non sono l’opposizione, ma la soluzione”, e ricorda che i problemi più pressanti sono l’alto tasso di inflazione e la criminalità dilagante, che nonostante le molte conquiste sociali fa oggi del Venezuela uno dei Paesi più pericolosi del mondo. Il mandato presidenziale dura 6 anni ed è rinnovabile vita natural durante. Sono chiamati alle urne quasi 20 milioni di cittadini. Chi otterrà più voti sarà eletto direttamente, senza bisogno di maggioranza assoluta né di ballottaggio.