Imprese in fuga dall'Italia, per colpa delle tasse, della burocrazia, e del costo del lavoro. Dal 2000 al 2011 le attivita' che hanno delocalizzato le proprie strutture sono aumentate del 65% arrivando a superare le 27.000 unita'. Secondo le elaborazioni dell'ufficio studi della Cgia di Mestre dal 2008, forse a causa della crisi, si e' registrata si e' registrato un trend sempre in crescita, ma "abbastanza contenuto" (+ 4,5%).
Alla fine del 2011 ammontavano a poco piu' di 1.557.000 i posti di lavoro creati da queste aziende oltre confine. Premesso che in questi ultimi decenni la delocalizzazione produttiva ha interessato tutti i Paesi piu' industrializzati del mondo, sottolinea il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, "fare impresa in Italia e' molto piu' difficile che altrove. Le tasse, la burocrazia, il costo del lavoro, il deficit logistico-infrastrutturale, l'inefficienza della pubblica amministrazione, la mancanza di credito e i costi dell'energia rappresentano degli ostacoli spesso insuperabili che hanno indotto molti imprenditori a trasferirsi in Paesi dove il clima nei confronti dell'azienda e' piu' favorevole".
Il Paese piu' attrattivo degli imprenditori italiani, secondo le elaborazioni della Cgia, che prendono in considerazione le attivita' produttive con un volume di affari all'estero superiore ai 2,5 milioni di euro e piu' di 10 addetti, e' la Francia: sono 2.562 le aziende italiane che hanno trasferito una parte della propria filiera produttiva nel paese Transalpino. Dopo la Francia, tra i Paesi che hanno attratto gli interessi delle nostre imprese troviamo gli Stati Uniti (2.408 aziende), la Germania (2.099 imprese), la Romania (1.992 unita' produttive) e la Spagna (1.925 aziende). La Cina e' al settimo posto, con 1.103 imprese italiane che hanno scelto di proseguire la propria attivita' produttiva in estremo oriente.
"Un elemento di forte richiamo -secondo Bortolussi- e' la certezza del diritto. In Francia, ad esempio, i tempi di pagamento sono piu' puntuali e piu' rapidi di quanto avviene da noi. La giustizia francese funziona e chi non paga viene perseguito e sanzionato. Senza contare che i tempi di risposta delle autorita' locali sono strettissimi, al contrario di quanto succede in Italia dove l'unica certezza sono i ritardi che accompagnano quasi ogni pratica pubblica".
Le regioni che sono state piu' investite dalla 'fuga' delle proprie aziende, verso l'estero, sono quelle del Nord. In Lombardia se ne contano 9.647, in Veneto 3.679 in Emilia Romagna 3.554 e in Piemonte 2.806. Messe tutte assieme costituiscono oltre il 72% del totale delle imprese che hanno lasciato il nostro Paese.
"La delocalizzazione - conclude Bortolussi - ha una valenza economica, ma anche sociale e politica. Se da un lato la delocalizzazione tende ad aumentare la competitivita' di un'attivita' produttiva, dall'altro si corre il rischio di far crescere la disoccupazione nell'area in cui ha origine. Cio' rischia di avvenire se i lavoratori fuoriusciti dalle attivita' produttive non sono reimpiegati in altre attivita' presenti in loco. Visto che la delocalizzazione ha investito soprattutto le Regioni italiane dove il tasso di disoccupazione e' ancor oggi tutto sommato abbastanza contenuto, possiamo dire che questo fenomeno non ha dato luogo a grossi problemi occupazionali".
Quali sono i settori piu' interessati da questo fenomeno ? Quasi un'impresa su due (48,3% del totale) opera nel commercio all'ingrosso (in valore assoluto sono 13.124 aziende). Si tratta, ad esempio, di attivita' legate agli intermediari del commercio, del commercio all'ingrosso di prodotti alimentari e bevande, di apparecchiature high-tech e di altri macchinari e attrezzature. Attivita' prevalentemente costituite dalle filiali commerciali di imprese manifatturiere. Segue l'industria manifatturiera (28,6% del totale) e la logistica (6,2% del totale).