Ci sono ragazzi che non escono più dalla loro stanza, se vanno in vacanza restano chiusi in hotel e piano piano finiscono per non andare a scuola. Cos’è che li attira tanto e finisce per isolarli? Internet, cioè video-giochi, video-poker, facebook, chat. I genitori sono disperati e sono i primi a cercare una soluzione, un modo per affrontare la “malattia” dei “nativi digitali” che non hanno conosciuto la vita senza computer. A Roma, al Policlinico Gemelli, è nato da tre anni e mezzo un “Ambulatorio Internet Addiction Disorders”, centro per psicopatologie da web. Il suo ideatore e coordinatore, il prof. Federico Tonioni, psichiatra, ci racconta la sua esperienza.
Perché ha pensato ad una terapia per questi disagi?
“Sono rimasto sorpreso da un fenomeno trasversale che interessa le nuove generazioni, la distanza emotiva che è molto diversa dallo scontato scontro generazionale perché non c’è l’elemento conflittuale. I giovani su Internet, ad esempio nei giochi di ruolo on line, fanno un investimento affettivo, formano piccoli eserciti e creano legami sorprendentemente intensi con sconosciuti in un vortice ininterrotto di partite che non finiscono mai perché i combattenti della stessa fazione si danno il cambio anche la notte per la sorveglianza. Ma si gioca ‘fisicamente soli assieme a persone anch’esse ‘sole con il loro schermo’”.
Da cosa nasce questa dipendenza?
“Quando si arriva al ‘ritiro sociale’ e si manifesta una assenza dal contesto perché si ha paura di essere estromessi, derisi, si teme il confronto diretto nella vita reale, si potrebbe parlare di una malattia delle emozioni o meglio della comunicazione emotiva. Nella vita virtuale, invece, si può riuscire a diventare campioni, a essere osannati. E allora vincere o perdere in un video-gioco di guerra diventa questione di vita o di morte per la nuova identità e non lo si può più abbandonare. Internet diventa veicolo di emozioni, un mondo dove non si è concentrati ma ‘assorti’, come in un sogno ad occhi aperti ma dalla durata abnorme. C’è da dire che i ragazzi hanno acquisito un nuovo modo di pensare e comunicare che è un vantaggio ma può diventare uno svantaggio. Il gioco, fuori dalle variabili spazio/tempo, diventa compulsivo e ‘dissociante’ fino a configurarsi come fuga dalla realtà. La dipendenza da Internet nasce in un contesto di depressione ‘mascherata’ quindi vanno recuperate quelle sintonie emotive che con il tempo sono andate perdute”.
Quanti casi trattate e qual è la terapia?
“In poco più di tre anni di lavoro abbiamo seguito oltre 550 giovani con una media di 10 nuovi casi al mese. Si incomincia con sedute individuali per individuare l’intensità dell’investimento mentale nella vita virtuale e per vedere se la dipendenza nasconde problemi e angosce più profonde. Quando il ragazzo si considera pronto lo si inserisce in un gruppo di altri con le stesse difficoltà”.
Quando si capisce che si può sperare in una guarigione?
“A volte ci sono svolte improvvise perché l’adolescente ha una struttura in fieri. Alcuni ragazzi incominciano a poter reggere un contatto dal vivo, un incontro reale. Magari dopo mesi di chat riescono a uscire con una ragazza o un ragazzo in carne ed ossa. E se si innamorano….. Altri arrivano a potersi permettere di scegliere se andare in palestra, passare una sera in discoteca…anche a usare Internet, ma non più come prima. Noi non parliamo di persone guarite ma cambiate. Le ricadute? Ci sono, ma sono momenti di uno stesso percorso”. (F.R)
*La prossima settimana l'ambulatorio delle Molinette di Torino