di Alessandra D'Agostini
(a.dagostini@rai.it)
Il presidente americano debutta in Medio Oriente. Barack Obama, accompagnato dal segretario di Stato Kerry, visita Israele, Cisgiordania e Giordania. Obiettivo centrale riavviare il negoziato di pace, in stallo dal 2010. Diplomaticamente, l’inquilino della Casa Bianca ha puntato a ridurre le aspettative di israeliani e palestinesi e ha annunciato che va a Gerusalemme e Ramallah per “ascoltare” .Incontrerà Netanyahu e Abu Mazen per farsi dire “le loro strategie e le loro idee e capire dove porteranno”. Sul tavolo anche la guerra civile in Siria e il nucleare iraniano, gli altri due fronti che preoccupano lo Stato ebraico. Di fronte alla determinazione di Teheran di portare avanti il programma nucleare puramente per scopi civili, cui non credono gli occidentali, Obama ha recentemente insistito sulla convergenza di Washington con le stime di Gerusalemme espresse da Netanyahu all’Assemblea generale dell’Onu lo scorso settembre. ”L’Iran ha bisogno di un anno o poco più per arrivare all’arma nucleare. Non vogliamo –ha aggiunto Obama- che si avvicini così tanto”.
Sul piatto della bilancia pesa la questione insediamenti, che continuano ad espandersi, anche nella zona a est di Gerusalemme, nonostante la richiesta di congelamento della Casa Bianca. Anche se Obama va in Medio Oriente con un ruolo di “mediatore”, è anche vero che ha presentato a Netanyahu una “tabella di marcia” per il ritiro di Israele dalla Cisgiordania e si aspetta un dettagliato piano da parte del premier, primo passo dell’iniziativa americana per uno Stato palestinese in Cisgiordania nel 2014. E con il nuovo governo Netanyahu, con il “falco” Yaalon alla Difesa e non certo ben predisposto nei confronti dei palestinesi, vanno messe insieme tutte le tessere per un accordo.
Israele inoltre ha risentito dei colpi di coda della Primavera araba che ancora scuotono l’area e deve fare i conti con i nuovi Paesi arabi, tra cui il turbolento Egitto del presidente Morsi. C’è da aspettarsi che gli Stati Uniti mettano sul tavolo anche questo dossier, evitando rinvii nelle discussioni, compreso il capitolo Siria, non dimenticando le resistenze espresse da diversi Paesi sulla fornitura di armamenti agli insorti. E proprio alla Siria è dedicata la tappa ad Amman dal re Abdullah. In Giordania hanno riparato circa 450 mila civili, un carico insopportabile per il Paese povero di denaro e risorse. Tutti si aspettano che l’amministrazione Usa si decida a mandare aiuti militari ai ribelli siriani per vincere la guerra con il presidente Assad e alleviare il peso sui Paesi confinanti.
La visita in Israele, che serve a placare gli animi di chi accusa l’Amministrazione di non fare abbastanza per l’alleato israeliano, sarà anche l’occasione per rinsaldare i legami tra i due Paesi, dopo un primo mandato presidenziale a tratti “gelato” sulla rotta Washington-Gerusalemme. Obama, che incontra anche il presidente Peres, punta alle nuove generazioni di israeliani, proprio quelle che hanno sorpreso nel voto anticipato di fine gennaio. Parlerà ai giovani al Jerusalem Convention Center e non ai deputati alla Knesset, sottolineerà la legittimità delle radici dello Stato ebraico e compirà visite mirate, come quella alla tomba di Theodor Herzl, il padre del sionismo, e dell’ex premier Rabin, andrà al Santuario del Libro, in cui sono esposti i Rotoli del Mar Morto, manoscritti di grande significato storico e religioso, al Museo dell’Olocausto, ma non al Muro del Pianto. A sottolineare il sostegno a Israele e alla sua sicurezza, Obama visiterà una batteria di missili “Iron Dome”, sul cui sistema sono confluiti i finanziamenti Usa. Il presidente Peres non mancherà di affrontare il caso di Jonathan Jay Pollard, il cittadino statunitense che sta scontando una condanna a vita in North Carolina per spionaggio in favore di Israele. Il tema della grazia all'ex analista della Marina statunitense condannato nel 1987 all'ergastolo, è sostenuto da molte figure pubbliche dello Stato ebraico, da scienziati vincitori del premio Nobel a intellettuali, che hanno firmato insieme ad altri 175.000 cittadini una petizione per un atto di clemenza.
E i palestinesi? Tra massicce misure di sicurezza, Obama andrà in elicottero a Ramallah. Un blitz di qualche ora per incontrare alla Muqata il presidente palestinese, che già aveva incontrato nel luglio 2008 quando era il candidato democratico alla Casa Bianca. Per Abu Mazen la strada della pace passa anche per la riconciliazione con la fazione rivale palestinese, Hamas. Una unità che per la maggior parte dei palestinesi è una precondizione e che appare sempre più lontana dopo il fallimento dei negoziati. La leadership palestinese è stritolata dalla necessità di tenere la porta aperta per i negoziati con Israele, tenendo conto delle legittime aspirazioni della popolazione e di trovare un piano politico condiviso con le altre fazioni .
La considerazione degli Stati Uniti in Cisgiordania è ai minimi storici, soprattutto dopo il mancato sostegno alla Palestina per il riconoscimento come Paese osservatore non membro alle Nazioni Unite, visto come un primo passo verso la costituzione di uno Stato palestinese. Non dimenticando i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane in sciopero della fame, Ramallah si prepara all’arrivo di Obama e sui muri sono spuntati cartelloni che invitano il presidente a lasciare a casa lo smartphone, perché non c’è copertura internet ad alta velocità in Palestina. Tensione invece a Betlemme dove il presidente visiterà la basilica della Natività. I palestinesi lo accusano di proseguire sulla strada dei suoi predecessori adottando politiche favorevoli al regime israeliano e di non fare abbastanza per fermare le attività di insediamenti illegali di Israele a Gerusalemme e in Cisgiordania.