di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)
Jimi Hendrix – People, hell and angels (Experience Legacy)
Quarantatré anni dopo l’infausto evento, gli archivi impolverati di casa Hendrix sputano ancora fuori materiale inedito, come se i cassetti non avessero fondo. La sorell(astra?) Janie continua a rimestare e a pescare quello che è rimasto nel fondo della rete. Ben poco, in verità. Non si capisce il “cui prodest”di queste operazioni di recupero di materiali inediti o di scarto, se non quello di appagare l’inesauribile appetito dei fans del chitarrista di Seattle, e di alzare un bel po’ di dollari, il che non guasta mai. Le 12 canzoni non aggiungono né tolgono niente alla sua opera, se non arricchire un repertorio brevilineo, per via della prematura dipartita del musicista. Ma, per quanto di scarto sia, il materiale riesumato in “People, hell and algels”, ha una sua assoluta dignità, fosse uscito all’epoca non avrebbe sfigurato nella discografia ufficiale. Il box di due anni fa, “West Coast Seattle boy”, aveva già disseppellito il meglio di quanto era rimasto impresso nelle vecchie bobine. Le canzoni di questa raccolta, affidate alle mani dell’eperto ingegnere del suono Eddie Kramer, e del biografo John McDermott, comprendono l’arco temporale che va dal marzo del 1968 all’agosto del 1970. Molti blues, qualche funky, tante svisate con il marchio di fabbrica. In più, sparsi qua e là, Buddy Miles, Stephen Stills, Lonnie Youngblood, episodici compagni d’avventura. Album per quelli che hanno già tutto.
Atoms For Peace – Amok (Xl Reconrdings)
Thom Yorke, leader del Radiohead, e Flea, bassista dei Red Hot Chili Pepper , insieme negli Atoms for peace, formazione d’alta scuola lontana anni luce dalle sonorità delle due band d’appartenenza. Yorke aveva già sperimentato la via solista con “The eraser”, non propriamente un lavoro per neofiti. “Amok” (chissà se vuol dire “I am ok”), è un album danzereccio, elettronico, costruito in fibra di carbonio, vale a dire con il meglio della tecnologia. “Amok” fa pensare ad un David Bowie ipertecnologico fuso con gli U2 di “Vertigo”, melodia e ritmo sincopato, drumming elettronico e arpeggi acustici. Yin e Yang. Le follie ipnotiche di Yorke sono la traccia base su cui si sviluppa l’album, al quale hanno dato una mano non indifferente il percussionista Mario Refosco, il batterista Joey Waronker e il produttore Nigel Godrich. Difficile classificare “Amok”, ci vorrebbe un archivista esperto. Non è pop, anche se qua e là qualche melodia esce in mare aperto, non è elettronica pura né afrobeat spinto. C’è un groove, un ritmo di fondo che invita alla danza sincopata, che in certi momenti fa venire in mente i primordi dei Talking Heads e le fughe (synth)tellettuali di David Byrne. Vogliamo chiamarlo drum’n bass? Everything but the girl e Byrne sottobraccio? Forse sì. Ma siamo nel nuovo millennio, e Tom Yorke è uno dei guru dell’ipnosi sonora. Raffinatissimo, ma pieno di incognite da risolvere.