di Nello Rega
(n.rega@rai.it)
Sorrisi, benedizioni, saluti. Ancora una volta lo “stile” Francesco stupisce e conquista. Anche davanti ai grandi della terra ha continuato così. Secondo l’innata forza dei “primati”, il papa ha condiviso con quasi 200 mila fedeli in piazza San Pietro il suo inizio. L’inizio di un pontificato che il pianeta dei cattolici, e non solo, attendeva più della Chiesa stessa, forse.
“Vorrei chiedere per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo ‘custodi’ della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!”. In questo passo della sua omelia tutti i tratti di papa Bergoglio. Il rivolgersi con rispetto agli altri, il chiedere “permesso”, il bussare alla porta. A quella dei forti e dei deboli e la voglia di diffondere il seme della speranza e della misericordia, che come aveva già detto domenica scorsa “fanno un mondo più giusto e buono”. Voglia anche di ribadire il vero e unico ruolo della Chiesa, forse anche dopo le tante ombre che si sono abbattute sul Vaticano e alle quali il pontefice dovrà dare risposte. A cominciare da quanto contenuto nel rapporto sul Vatileaks.
”Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli. Il mio potere è servizio per i poveri, i malati, gli stranieri, i carcerati”. L’attenzione verso il disagio e i disagiati, come aveva avuto modo di fare e mostrare durante tutta la sua attività di pastore in Argentina. Parole che sembrano anche un monito ai potenti del mondo e ai rappresentanti delle altre fedi religiose, a quelli presenti in piazza San Pietro per la sua messa di inizio pontificato. Un messaggio a loro, nessuno escluso, che hanno deciso di essere lì per “onorarlo” e, si spera, anche per ascoltarlo profondamente. Un appello, indiretto sicuramente, anche a Mugabe, al presidente dello Zimbabwe che, sfidando i “veti” della Ue ha voluto essere insieme agli altri capi di Stato, nonostante le tante ombre sul suo operato nel Paese africano.
Non è mancato nel corso dell’omelia l’omaggio ai suoi predecessori, a Benedetto XVI e a Giovanni Paolo II, a San Giuseppe e alla Vergine Maria. “Giuseppe è custode perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà e, proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda. Non dobbiamo avere timore della bontà e della tenerezza”. Non è mancata neanche l’esortazione alla voglia della speranza. “Dobbiamo aprire il cuore alla speranza”. Una sorta di invito all’ottimismo e alla voglia di andare avanti. E, in un tempo molto “oscuro” per l’economia e i valori politici e civici, suona come la possibilità di riprendere il giusto cammino di ogni cittadino del pianeta, trovando la forza di “potercela fare”. Il tutto anche con il ruolo e la figura del “Vescovo di Roma”, come ricorda con vigore papa Francesco. Prima di tutto il Vescovo, il pastore, e poi il continuatore della tradizione petrina.
Parole, queste, nel segno della innovazione e, al tempo stesso, della difesa delle tradizioni più profonde della Chiesa. Così come la scelta del bagno di folla prima della messa. Una ventina di minuti a bordo di una Jeep bianca a salutare e benedire, con quell’aria familiare. Come un vecchio amico che torna al suo paese con l’orgoglio e la felicità di rivedere tutti. Non si è sottratto, anzi, quando dalle transenne qualche fedele ha tenuto in alto il figlioletto per ottenerne una carezza. Oppure quando ha visto un paraplegico. Ha fatto fermare la Jeep ed è sceso ad accarezzarlo. Senza “transenne” e senza protocolli. “Pregate per me”. Finisce così la sua omelia mentre comincia, al tempo stesso, il nuovo cammino del popolo di “Francesco” e di quanti preservare e custodire il mondo.