Cubisti e cubismo a Roma

Nel caleidoscopio della modernità

di Federica Marino
(marino@rai.it)

Sfaccettato, straniante, rivoluzionario: è il cubismo, movimento artistico e culturale che è stato insieme espressione e motore del Novecento e della modernità.

Una mostra a Roma propone due percorsi intrecciati, dedicati rispettivamente al pensiero cubista e ai suoi principali esponenti; la diffusione internazionale del movimento, i campi di applicazione in cui il cubismo si è manifestato, le diverse forme che ha preso nello spazio e nel tempo, sono tra i filoni presentati in un percorso espositivo cronologico che non rinuncia alla profondità.

Data di nascita ufficiale del cubismo è il 1907, quando le Demoiselles d’Avignon di Picasso travolgono con il loro bagno spezzettato in piccoli cubi tutti i precedenti impressionisti e inaugurano il nuovo secolo. E a Picasso – con Georges Braque, Ferdinand Léger e Juan Gris – è dedicato il nucleo centrale della mostra, che segue poi gli artisti arrivati a Parigi per imparare il nuovo linguaggio e riportarlo a casa in Gran Bretagna, Spagna, Inghilterra, Cecoslovacchia, Russia, Messico, Italia e Stati Uniti.

Tre anni, tanto ci mette il cubismo a conquistare il mondo con stili e modi variati, e il suo dilagare è documentato nella mostra romana da oltre cento opere che raccontano le tante forme prese dall’arte cubista nel corso del tempo e nei diversi contesti che lo hanno visto fiorire. Spazio anche agli sviluppi successivi, dal futurismo italiano al dadaismo, passando per l’unione cercata di bellezza e funzionalità che sfocerà nel Bauhaus e in De Stjil fino a diventare design.

Il secondo filone esplorato al Complesso del Vittoriano riguarda il cubismo come forma di pensiero e concezione del reale: frammentato come la realtà che rappresenta, il cubismo si pone come modello e “format” di una modernità complessa. “Il cubismo ha scomposto forme esistite per secoli e ne ha utilizzato i frammenti per creare nuovi oggetti, nuovi modelli e, in definitiva, mondi nuovi”, scrive il messicano Diego Rivera, consapevole della portata globale di questa novità: la scomposizione e ricomposizione formale dell’oggetto artistico va oltre la sua rappresentazione, perché a essere diversa è la percezione del reale, non più lineare, armonico, statico e composto ma, al contrario, fatto di movimento, dinamismo e simultaneità.

Il cubismo, insomma, racconta un mondo nuovo, ma prima ancora vuole costruirlo e per questo non si limita all’arte, ma invade tutti i campi espressivi e produttivi. Un esempio per tutti è il cinema, arte cubista per eccellenza: rappresenta la realtà in movimento e attraverso il montaggio permette la ricombinazione e la creazione di nuovo senso.

Con il cubismo, poi, cade la cesura tra testo e immagine e nasce il concetto di libro come opera unitaria e simultanea. L’immagine non si limita a “illustrare” quanto narrato dalle parole, ma narra a sua volta, dotata di senso proprio e integrata nel con-testo e Apollinaire, che è amico di artisti e teorico del cubismo, compone calligrammi, testi composti graficamente secondo la forma di quello che i versi evocano. Teatro e balletto, con la simultaneità espressiva propria ai due generi, sono arti tipicamente cubiste e l’intervento creativo è globale: dai bozzetti alla rappresentazione passando per bozzetti, costumi, scenografie, musiche e coreografie.

Moda e arredamento sono i settori in cui il cubismo realizza la volontà di fare il mondo prima di rappresentarlo, così come l’architettura, che trova in Praga la sua città ideale: l’antico e il moderno si incontrano in un crocevia geografico e culturale e negli edifici volumi nuovi si compongono a partire dalla trasformazione di elementi che risalgono al barocco. Forme nuove, partendo dal passato e guardando al momento.

CUBISTI CUBISMO
Roma, Complesso del Vittoriano
Fino al 23 giugno 2013

 

Dall'alto al basso: Pablo Picasso, Nudo, 1909, olio su tela, 100 x 81 cm (S. Pietroburgo, The State Hermitage Museum); Georges Braque, Parco a Carrières-Saint-Denis, 1909, olio su tela, 38,5 x 46,5 cm (Madrid, Museo Thyssen Bornemisza); Albert Gleizes, Ritratto di Jacques Nayral, 1911, olio su tela, 161,9 x 114 cm (Londra, Tate Gallery, Acquistato nel 1979)