Don Gaetano Saracino, missionario scalabrino


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'Nelle favelas in mezzo ai poveri. Questo è Papa Francesco'

Il racconto di un cardinale alla portata di tutti papa_francesco_296

di Paola Scaramozzino
(p.scaramozzino@rai.it)

“Fino a qualche giorno fa stava nelle favelas in mezzo ai poveri. Questo è Papa Francesco”. A raccontarci di lui quando ancora era il cardinale Jorge Mario Bergoglio è don Gaetano Saracino, parroco missionario degli Scalabrini nella chiesa del Santissimo Redentore a Val Melaina, periferia nord-est di Roma. “Già con le sue prime parole ha stravolto tutti i trattati teologici. Fino ad ora la Chiesa si è sempre pensata Universale, un movimento che tendeva al suo centro come per dire “tutti a me”. Adesso con il Pontefice il movimento è diventato globale e si traduce “Io a tutti”. Alla maniera di Francesco d’Assisi. Un cambiamento radicale”.

Come ha conosciuto Papa Francesco?
“I Missionari scalabrini nascono per seguire migranti italiani in tutto il mondo. Sappiamo che in molti sono andati a cercar fortuna anche in Argentina. Io sono stato dal 2003 al 2008 per il volontariato internazionale di quelle zone e quindi anche di Bolivia, Perù, Ecuador e mi sono trovato a Buenos Aires per un periodo. La fama del cardinale Bergoglio era già conosciuta. Un cardinale che prendeva gli autobus come tutti, si comportava in maniera semplice. Una persona fuori dalle righe capace di mettersi alla pari con chiunque. Con lui discutevamo delle nostre attività partendo dai poveri. Ha avuto sempre una grande accessibilità, non era difficile avvicinarlo, parlargli. Addirittura apriva lui la porta dell’episcopio se era presente ”. “Mi ricordo – continua a raccontare don Gaetano, missionario giovane e molto comunicativo di origini pugliese – che un giorno bisognava celebrare la cresima e ci si aspettava che il cardinale arrivasse con l’auto di rappresentanza. E’ giunto in bicicletta”.

Bergoglio ha attraversato il periodo della dittatura e della grave crisi dell’Argentina. Cosa ha fatto per il Paese?
“Due gesuiti hanno perso la vita durante il regime e questo fa capire l’impegno di questi padri in un periodo tremendo della storia dell’Argentina. Dopo il peronismo, padre Jorge era il Superiore Provinciale dei Gesuiti, la gente aveva fame e allora cosa fa? Mette mano ai beni ecclesiastici e li vende per trasformarli in minestre per i poveri. Nel suo episcopato questo “gestis verbisque” ovvero i gesti e le parole, si traduce in termini ricorrenti come ” periferie, andate, i poveri”. Attenzione “opzione fondamentale per i poveri” sono le parole esplicite del suo ministero, invita tutti ad andare nelle periferie e lui lo fa in prima persona. Ecco i gesti delle visite e delle celebrazioni nelle favelas. Ha una grande importanza per noi il fatto che un vescovo trasferisca la chiesa, la parrocchia, la scuola nei barrios argentini mandandoci un gruppo di preti creati a posta per questa missione. Se non bastasse trasferisce quelle che sono le liturgie per la settimana Santa in questi quartieri e il giovedì Santo la lavanda dei piedi è a queste persone. Fra una settimana sarà interessante vedere chi sarà invitato a queste celebrazioni. Papa Francesco era un cardinale che prendeva la metropolitana e che forse non immaginava che la prossima sua fermata sarebbe stata a San Pietro. Una persona che si muoveva con semplicità all’interno di tutto e la gente malgrado fosse un porporato lo ha sempre chiamato padre Jorge come uno di famiglia e credo che la semplicità con cui ha parlato dimostra questo. Ci vedo segni eloquenti ma non ingenui, dietro c’è una rettitudine teologica tipica dei Gesuiti e dal primo discorso ci sono due e tre cose che lo fanno capire: chiede la benedizione al popolo ma è teologicamente corretto dire pregate voi Dio perché è lui che mi benedice. Quindi inginocchiarsi davanti al popolo diventa un gesto che tutti capiscono ed è il gesto della lavanda dei piedi che in qualche modo lui ha già anticipato. Poi si capisce che il primato della Chiesa di Roma è nella Carità e non nella giurisdizione, infatti accanto a sé vuole il Vicario di Roma e non il segretario di Stato. E ciò fa pensare che il suo non sarà un pontificato diciamo “statale” o “diplomatico” ma Pastorale. Ha riusato la parola popolo fuori dalla liturgia quando non viene usata neanche più dalle istituzioni.

Pensa di incontrarlo?
“Martedì è un’ appuntamento corale per tutti i cattolici ma noi speriamo, è partita la richiesta ufficiale, che il santo Pontefice venga a presiedere “La festa dei popoli” che è la terza domenica di maggio, il 19, a piazza San Giovanni. E’ la Festa di tutti i migranti della diocesi di Roma, il luogo dove si esprime che nella Chiesa nessuno è straniero”.

Se ne avesse l’opportunità, cosa direbbe a Papa Francesco?
“Santo Padre venga alla nostra mensa. Ci sono 150 persone che sono qui quotidianamente. La nostra è una parrocchia di periferia ed è la stessa gente di Val Melaina e del Tufello, persone modeste non siamo certo ai Parioli, che fa sì che ci sia sempre un pasto per i poveri. Io sono sicuro che vedremo Papa Francesco proprio in questi luoghi perché gli appartengono, ci crede, sono i suoi. Santità venga a incontrare i nostri commensali. La aspettiamo”.