di Sandro Calice
di Harmony Korine, Usa 2012, drammatico (BIM)
Fotografia di Benoît Debie
con James Franco, Selena Gomez, Vanessa Hudgens, Ashley Benson, Heather Morris, Rachel Korine, Gucci Mane.
Harmony Korine è un regista amatissimo dai cultori del cinema indipendente, mica uno qualsiasi, uno che a 21 anni ha scritto la sceneggiatura di “Kids” (1995) diretto da Larry Clark, per il quale firmerà anche “Ken Park”; uno che ha esordito alla regia con “Gummo” (1997), notato ed elogiato da Gus van Sant e Werner Herzog, uno che ha aderito a Dogma 95
e che ha fatto una serie di altre cose. “Spring Breakers”, però, a noi è parso un film furbetto. Quattro studentesse vivono nella mai troppo deprecata provincia americana e l’unico sogno che hanno sono le vacanze di primavera (spring break): questa volta deve essere una cosa speciale, indimenticabile, e sono disposte a tutto. Cominciano col rapinare un fast food per procurarsi i soldi che non hanno. Da lì è una discesa, consapevole, in un inferno colorato e pop, ma non per questo meno mortale, fino all’assurdo epilogo.
Korine conosce l’universo degli adolescenti, ce lo ha dimostrato più volte. Soprattutto il loro lato oscuro, violento, quello che tutti i genitori temono e non conoscono, crogiolandosi nell’ipocrisia del “no, mio figlio non è così”, quello dei figli che chiamano casa dicendo che fanno i bravi mentre hanno appena compiuto qualcosa di innominabile. Ed è quel lato, amorale, sentimentalmente anestetizzato e non educato, che ha il divertimento come dio e la musica e le droghe come religione che Korine ci mostra. Lo fa con un film “acido”, tutto hip hop, costumi da bagno e colori fluorescenti, montato come un video su YouTube, con i dialoghi in loop e molti flash forward. Per farlo, sceglie le attrici Disney, teoricamente all’opposto di quel modello (a noi è parsa insopportabile la non-recitazione della Hudgens), ed è una delle furbizie. Un’altra è la struttura della narrazione, non convenzionale, per sedurre il pubblico “colto”, e una messa in scena estetica e fotografica che ammicca a quello adolescenziale. Se si aggiunge che non c’è nulla di particolarmente disturbante (violenza da fiction, sesso giusto qualcosina nel finale, ma più ironico che porno) i conti sono presto fatti.
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