di Emanuela Gialli
(e.gialli@rai.it)
Il bosone, la cui scoperta è stata annunciata a luglio al Cern di Ginevra sembra proprio essere quello teorizzato da Higgs. Lo hanno confermato nelle ultime ore i ricercatori degli esperimenti ATLAS e CMS , che hanno presentato i risultati delle analisi più recenti che indicano che il valore del momento angolare intrinseco di questa particella, lo spin, (una specie di “trottola interna”) è in linea con quello previsto per un bosone di Higgs. Ma non basta. Ora occorrono ulteriori verifiche che richiederanno altri anni di studio. Nel frattempo, l’acceleratore di Ginevra è fermo per un lungo periodo di lavori, che permetteranno di raddoppiarne l’energia, in modo che quando riprenderà a funzionare, nel 2015, sia pronto a elargire nuove, sensazionali scoperte. Quelle finora già acquisite saranno intanto illustrate al pubblico giovedì 14 marzo all’Auditorium di Roma in una giornata dedicata alla divulgazione scientifica, organizzata dall’istituto nazionale di Fisica nucleare.
Il grande acceleratore del Cern di Ginevra si riposa, ma gli scienziati che ne sono gli artefici, e “genitori”, no.
Dal 14 febbraio l’LHC, Large Hadron Collider, ha cessato la sua attività. E’ in corso un aggiornamento, che quasi ne raddoppierà l’energia. Quando nel 2015 riprenderà a funzionare, l’acceleratore di particelle sarà passato dagli attuali 8 TeV ai 14 Teraelettronvolt di energia.
Nel frattempo, il Centro di ricerca nucleare, che raccoglie attorno a sé una comunità scientifica di quasi 14000 scienziati e ingegneri, provenienti da 580 università e 80 Paesi, continua a lavorare sui test per verificare se quello scoperto nel luglio scorso è realmente il “bosone di Higgs”.
I fisici come si sa sono cauti. Finora hanno parlato di “simil Higgs”, di un particella molto simile a quella teorizzata da Higgs nel 1964.
Ma è delle ultime ore la notizia della conferma che la particella vista e isolata la scorsa estate è proprio il bosone che ha dato origine alla massa di tutte le altre particelle. Perché? Ecco cosa hanno dimostrato i ricercatori: la caratteristica decisiva per dimostrare che la particella osservata è un bosone di Higgs è la misura del suo spin, ossia del suo momento angolare intrinseco. Lo spin di un bosone può assumere valori quantizzati interi (0,1,2,3, etc). “Un bosone di Higgs, spiega a Televideo il direttore della ricerca del Cern, l’italiano Sergio Bertolucci, deve avere spin uguale a zero. Già al momento della scoperta si poteva escludere un valore eguale a uno, ma rimanevano aperte le possibilità che fosse zero o due. Le misure presentate oggi favoriscono grandemente il valore di zero, anche se rimane una probabilità del 3 per mille che lo spin sia 2. Molto presto anche questa piccola probabilità sarà resa ancora più trascurabile e allora si potrà togliere il “simil” davanti al nome della particella. Ma questo passo, seppure importante, è solo il primo di un lungo percorso. Potremo infatti dire che abbiamo osservato un bosone di Higgs, ma non potremo ancora affermare che è proprio quello previsto dalla teoria vigente delle particelle elementari, il Modello Standard. Per poter arrivare a questa conclusione avremo bisogno di raccogliere una grandissima quantità di dati, per studiare con grande precisione i modi di decadimento di questa particella. Infatti, nel Modello Standard, una volta conosciuta la massa del bosone di Higgs (che e’ stata misurata essere circa 125 volte la massa di un protone), si conoscono tutte le sue ulteriori proprietà. La misura precisa di queste proprietà richiede la produzione di un grande numero di Higgs, in modo di poter studiare tutti i suoi canali di decadimento con sufficiente precisione”.
La scoperta di deviazioni dalle previsioni dello Standard Model, sarebbe un importantissimo passo in avanti, che aprirebbe la strada ad una comprensione più profonda dell’universo. “Insomma, non temiamo di restare disoccupati ancora per molto tempo ”, dice sorridendo il professor Bertolucci.