di Nello Rega
(n.rega@rai.it)
Certamente il suo nome non figura negli annali del cinema e del giornalismo. Almeno per il momento. Vincenzo Perrone, classe 1984, è nato in un angolo di Puglia, San Giorgio Jonico, nel Tarantino. Da qui è partito il suo viaggio da cronista con la voglia di raccontare e documentare la realtà. Lo ha fatto cominciando a studiare, ma non solo. Con in tasca la laurea in Scienza delle comunicazioni, ha iniziato a guardarsi intorno e a scrivere. Prima con realtà giornalistiche della sua zona, poi scegliendo la via dell’emigrazione. A Roma. E qui ha messo a segno ottimi risultati.
Nelle vicende politiche e sociali italiane imperversavano ancora i tanti interrogativi sul G8 di Genova e sul terremoto dell’Aquila. Partendo dal capoluogo ligure, dai protagonisti di una delle pagine più “oscure” della democrazia del Belpaese, Perrone ha seguito da vicino le vicende della Caserma Diaz, i black block, le forze di polizia, le polemiche e le verità sulla morte di Carlo Giuliani. L’elenco è vasto e il risultato è sicuramente una buona pagina di giornalismo d’inchiesta. “L’idea di lavorare a queste due eventi importanti della nostra storia è nata durante uno stage di comunicazione svolto a Roma. Con altri colleghi provenienti da molte parti d’Italia e con il nostro tutor, il giornalista Franco Fracassi, cominciammo a documentarci sul terremoto dell’Aquila e sui fatti e misfatti del G8. Interviste, immagini, racconti. Ogni riga strascritta faceva parte di quella che sognavamo potesse essere la sceneggiatura di documentari. Poi, come spesso accade per progetti come questi finanziati da Enti nazionali e sovranazionali, i soldi non sono più arrivati”.
Raccontando queste fasi, Perrone non nasconde l’amarezza di aver dovuto camminare da solo, per troppo tempo, e doverlo continuare a fare. Ma nei suoi occhi la tenacia è fin troppo eloquente. “I soldi non sono arrivati ma ho cercato altre strade per non disperdere al vento mesi e mesi di lavoro. Grazie all’intervento e alla collaborazione del regista Massimo Lauria e dell’aiuto di ‘Liguria Film Commission’, quelle interviste e quelle storie così drammatiche si sono impresse nei frames. Ho partecipato alle fasi del montaggio e finalmente è uscito ‘The Summit’. Sono orgoglioso ma al tempo stesso ho voglia di mettermi nuovamente in gioco, di andare avanti e affrontare nuove sfide. Si parla tanto di nuove leve e di opportunità da dare ai più giovani. Forse bisognerebbe passare, anche in questo caso, dalle parole ai fatti”.
Finalista al Festival del Cinema di Berlino 2012 e al Bifest di Bari 2012, ‘The Summit’ è una pagina giornalistica che, senza mezzi termini, descrive atmosfere, protagonisti, ombre e speranze del G8 di Genova del 2001. Senza la paura di doversi confrontare con altre opere del genere, il film-documentario ha l’orgoglio di non temere di raccontare. Distribuito da Minerva, è in attesa di approdare nelle sale cinematografiche più importanti del Paese. I commenti della critica sono stati tutti molto positivi, ma quello che più importa è lo spirito di chi ne ha firmato la sceneggiatura. Vincenzo Perrone, che ha condiviso la paternità di “The Summit” con Fabiana Tacente, collega, fidanzata e conterranea, racconta così il lavoro di preparazione: “Come dovrebbe essere ogni pagina di giornalismo che si rispetti, non abbiamo mai avuto alcun pregiudizio sugli episodi del G8 di Genova. Siamo arrivati su quelle strade, quegli angoli di città sapendo perfettamente che solo qualche anno prima avevano ospitato sangue, polemiche e violenze. Abbiamo intervistato tutti i protagonisti delle vicende, senza escludere nessuno. Così come nel caso dell’omicidio di Carlo Giuliani. Molto spesso si è parlato in maniera non corretta o almeno parziale sulla vicenda. La nostra ricostruzione è molto puntuale e accurata. Ci sono dettagli troppo trascurati che mettono in discussione che sia stato realmente il carabiniere di leva Mario Placanica a sparare”.
Ma alla fine non diventa comunque un giudizio su una manifestazione e sui suoi contenuti?
“Non è un giudizio. E’ la considerazione che eventi come quelli di Genova non devono e non possono trasformarsi in tragedie. Non è normale che durante delle manifestazioni facciano la parte del leone non le proteste ma le armi, la distruzione e le violenze”.
Il progetto sul G8 del 2001 si chiamava inizialmente G-Gate. Come è nata l’idea di “The Summit”?
“Il documentario è stato pensato per essere distribuito in accoppiamento con il quotidiano ‘L’Unità’. Questo è stato finalista al Premio ‘Ilaria Alpi’ 2011. Per rispondere alle esigenze del grande pubblico abbiamo deciso di ridurlo da 120 minuti a 97. Lo abbiamo reso più fruibile, meno lento nella narrazione e più vivo. E’ nato un prodotto cinematografico a tutti gli effetti. E subito, e di questo sono veramente orgoglioso, è arrivato in finale al Festival di Berlino. Una soddisfazione unica, anche perché la sceneggiatura è tratta solo dalla realtà dei fatti. Unicamente”.
E come è nata l’avventura di sceneggiare in qualche modo il terremoto dell’Aquila del 2009?
“Eravamo impegnati a scrivere la sceneggiatura del G8 di Genova. Ma le nostre menti e i nostri cuori sono stati sconvolti non tanto dalla notizia del terremoto quanto piuttosto dalla incomprensione su come si potesse morire sotto macerie e palazzi completamente non a norma. Questo è successo non un secolo fa, ma solo 4 anni fa. E allora i nostri sforzi sono stati puntati a capire cosa ci fosse davvero dietro i danni delle scosse dell’Aquila. Anche in questo caso siamo stati lì e, ‘interrogando’ le macerie abbiamo cercato di capire i perché. Vi erano le lacrime, la disperazione della gente, le polemiche politiche. Ma ci siamo concentrati sulle case e su quanto non era stato fatto per evitare i morti”.
E il risultato?
“Il risultato ha un nome che racchiude perfettamente quanto non fatto: ‘Sangue e cemento’. Un film-documentario attraverso il quale viene raccontato quello che poche volte in molti hanno avuto il coraggio di fare.
Perrone è cronista-eroe, un “emigrato-forzato” o un “sognatore”?
“Sicuramente un sognatore di una giusta realtà. Vorrei continuare a fare questo mestiere. Mi sento giornalista, cronista di strada. Voglio scavare dietro ogni notizia, cercare di capire cosa c’è dietro. Non tanto per me ma per la gente che ha il diritto di sapere. Ovviamente la strada non è facile. Se non si hanno ‘cognomi’ nell’armadio e si è illustri ‘sconosciuti’, come nel mio caso, il percorso è difficile. Fermarsi? Certamente no, significherebbe buttare al vento tanti anni di sacrifici e di ricerca della verità. Lo devo alla mia famiglia, ai fatti raccontati sull’Aquila e su Genova, a chi vuole la verità e a chi sogna di poter fare il lavoro che piace senza scendere a compromessi e senza dovervi rinunciare perché mossi solo dalla meritocrazia. I curricula devono servire a qualcosa. Se non è così allora inventiamoci un altro modo di chiamarli: va bene la definizione ‘schede di raccomandazione”? Meglio di no, sarebbe un disastro!”