di Nello Rega
(n.rega@rai.it)
L’aria certamente non è quella del 3 aprile 2005, il giorno dopo la morte di Papa Giovanni Paolo II. Il “day after” dell’addio di Ratzinger è segnato dallo sgomento ma anche dall’apprezzamento per una prova di coraggio, e di debolezza al tempo stesso. Aver osato contro le consuetudine secolari della Chiesa e aver confessato i limiti dell’età accompagnano i fedeli, tanti, che anche oggi si aggirano a San Pietro. L’11 febbraio, quando Benedetto XI ha annunciato le dimissioni, sembra lontanissimo. Eppure di giorni ne sono passati davvero pochi.
L’ultimo Angelus, il Motu Proprio, l’addio durante l’udienza generale, il saluto ai cardinali, il viaggio in elicottero, l’abbraccio ai fedeli dal balcone del palazzo vaticano di Castel Gandolfo. Fino alla chiusura, alle 20 in punto, di quel portone e il ritiro delle guardie svizzere.
Il Vaticano, entrato nella sede vacante, cerca di concentrarsi ora sulla scelta del nuovo Papa. Una scelta che cade in momento difficile per la Chiesa, la stessa difficoltà della quale Ratzinger ha parlato solo mercoledì scorso in Piazza San Pietro. Momenti bui, durante i quali il Signore è sempre stato con noi. Ha ricordato il Papa-teologo.
Sigillato l’appartamento pontificio, segnati l’anello e il sigillo, il governo vaticano è ora nelle mani della Camera Apostolica (il camerlengo, il suo vice e gli uditori). E, in attesa di conoscere la data di inizio del Conclave, i cardinali presenti a Roma si sono già dati appuntamento nell’Aula del Sinodo in modo informale. Un modo per conoscersi meglio, affinare i giudizi e cercare il “colpo di fulmine” in vista dell’entrate nella cappella Sistina.
Il cardinale decano Sodano ha provveduto a inviare le lettere di convocazione per lunedì prossimo della prima Congregazione generale, dalla quale uscirà la data di inizio del Conclave. Attualmente sono 115 i cardinali elettori che entreranno nella cappella Sistina anche se il numero potrebbe ridursi per le condizioni di salute non buone di alcuni porporati.
Intanto nell’aria risuona ancora il “cinguettio” che il Papa emerito ha lanciato su Twitter l’ultimo giorno del suo pontificato. “Grazie per il vostro amore e il vostro sostegno. Possiate sperimentare sempre la gioia di mettere Cristo al centro della vostra vita”, una frase che ha fatto il giro del mondo e si è aggiunta alle encicliche, ai discorsi ufficiali e alle parole dei quasi otto anni della missione petrina di Ratzinger. Tutti inseriti perfettamente nel motto che Benedetto XVI ha indicato per il suo pontificato: “Cooperatores veritates, collaboratore della verità”.
Così come le parole con le quali ha segnato il suo futuro. “Voglio continuare a lavorare per il bene della Chiesa. Sarò un pellegrino che affronta l’ultima tappa del suo pellegrinaggio sulla terra”, ha detto affacciandosi dal balcone di Castel Gandolfo e abbracciando idealmente migliaia di fedeli commossi e increduli. Qui resterà almeno per due mesi, fino alla conclusione dei lavori di ristrutturazione dell’ex convento di clausura in Vaticano. In attesa della fumata bianca e dell’Habemus Papam, gli occhi restano fissati su quella finestra dalla quale la Chiesa attende il futuro pastore e la guida che porti i fedeli in acque meno agitate e più rassicuranti. Affianco agli inevitabili toto-nomine, che spesso si sono rivelati fin troppo errati, vi sono le speranze e le attese del popolo di Dio. E in aggiunta, un nuovo modo di intendere il pontificato, così come ha insegnato al mondo intero quel teologo discreto e affabile arrivato dalla Baviera. A distanza di quasi 8 anni il ricordo di Giovanni Paolo II è più che mai vivo nella mente e negli occhi dei fedeli, ma certamente il “segno” di Papa Ratzinger resterà impresso nella storia del Vaticano e nelle coscienze del suo “gregge”.
“Il collegio dei cardinali sia come un’orchestra dove le diversità concorrano alla superiore e concorde armonia”, ha detto Benedetto XVI nel giorno del suo addio. Un invito ai porporati a trovare il bene comune e, forse implicitamente, a scegliere con questo monito il nome del suo successore. Successore al quale il Papa emerito ha promesso obbedienza assoluta. Gesto, questo, dettato secondo qualcuno dalla necessità di ribadire che il Papa emerito è uscito per sempre dalla scena vaticana e resterà nell’ombra, con la preghiera e la riflessione, per continuare a vivere “nella vigna del Signore”.