di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)
Nick Cave – Push the sky away (Self)
L’australiano Nick Cave, autentico archetipo del poeta maledetto, viso lugubre ed occhiaie tenute su con le bretelle, torna con i suoi fidi Bad Seeds (“cattivi semi”, per l’appunto) e riemerge dalle nebbie dei bassifondi londinesi, dove vive, con “Push the sky away”, a cinque anni di distanza da “Dig!!!Lazarus Dig!!!”. E’ dai tempi delle “Murder ballads” (“Ballate assassine”, 1996) che il fondale di riferimento per la musica di Cave è proprio la Londra ottocentesca, o la tenebrosa Edimburgo di Sir Arthur Conan Doyle. “Elementare Watson”, direbbe Sherlock Holmes dopo aver ascoltato un paio di ballate di Nick Cave, con quella voce cavernosa intrisa di asfalto e di “pure malt whisky”. Anche i compagni d’avventura di Cave non hanno delle facce propriamente rassicuranti, tratti somatici a metà strada tra Landru e lo strangolatore di Boston. Ma attenzione, “Push the sky away” non è un disco horror. E’ piuttosto la colonna sonora dei nostri sogni peggiori ( e chi non ne ha?), che probabilmente tutti rimuoviamo senza averne memorizzato i suoni. Che, in questo caso, sono impalpabili, soffusi, coinvolgenti, eleganti, e avvolgono di dolcezza la voce cavernicola di Nick Cave. Per capirci, è come se la fiaba di Cappuccetto Rosso la raccontasse il lupo. Cave è un musicista dai contrasti forti, che passa dal rock-blues ruvido come la carta vetrata alle ballate notturne da camino acceso e piumone. “Push the sky away” è un album di alto livello, che mescola Leonard Cohen, Johnny Cash e Lou Reed, il tran-tran ipnotico di “We no who ‘u ‘r “ e i dialoghi orchestrali da camera di “We real cool”, più vecchie reminiscenze folk e il solito dark-blues. Bello assai, ma per addetti ai lavori.
AA.VV. – Son of the rogue’s gallery: pirate ballads (Anti)
Dalle ballate assassine di Nick Cave a quelle marinare il passo è abbastanza breve, tant’è che in questo doppio album ci ha messo lo zampino lo stesso Cave. “Son of the rogue’s gallery: pirate ballads, sea songs and chanteys” è stato realizzato da Hal Willner, produttore che aveva già lavorato ad altri tributi, come quello a Walt Disney, a Kurt Weill, a Nino Rota, e che sei anni fa, ai tempi de “I pirati dei Caraibi – la maledizione del forziere fantasma”, aveva realizzato il primo volume delle ballate marinare, nel quale erano coinvolti anche Johnny Depp e Gore Verbinsky, regista del film. Questa seconda collezione di canzoni marinare (2 cd, 36 brani) riunisce musicisti di grande valore, da Shane McGowan a Beth Orton, da Tom Waits a Keith Richards, da Iggy Pop a Patty Smith, da Michael Stipe a Marianne Faithful. L’aria che tira è quella che si respira nella fumose taverne dei porti, dove il tasso alcolico si misura in barili, e dove impazzano le gighe, i violini, le fisarmoniche, si balla e si aspetta il prossimo imbarco. L’album alterna luci ed ombre. Troppa carne al fuoco, troppa gente, una cinquantina di musicisti, più alcuni attori, come Tim Robbins, Anjelica Houston, e Johnny Depp. Ovviamente non tutte le ciambelle sono riuscite con il buco, come “Ship in Distress” di Marc Almond, o “Rolling Down the old Maui” di Todd Rundgren, o ancora “Off to see, once more”” di Macy Gray,. Non in tutti i brani si sente odore di salsedine, ma in alcuni il profumo di mare è assai denso. Come in “General Taylor” di Richard Thomson, in “Pirate Jenny” di Shilpa Ray e Nick Cave, o nella travolgente “Leaving of Liverpool” di Shane McGowan, nella splendida “Shenandoah”, vecchia di 150 anni, duettata da Tom Waits e Keith Richards. Ci sono voluti due anni di lavoro per assemblare una banda di marinai, felici di imbarcarsi in un’avventura inedita. Che, come il mare forza 9, è piena di alti e bassi.