diNello Rega
(n.rega@rai.it)
Più che una fumata nera è un vero e proprio “buio economico”. Oltre agli 800 mila ciprioti incollati a guardare l’esito delle elezioni presidenziali vi sono stati gli occhi vigili della Ue. Se per il nuovo capo di Stato di Cipro bisognerà attendere il ballottaggio di domenica, per risollevare le sorti economiche dell’isola e del destino incrociato dell’Europa non resta più molto tempo.
Il settimo presidente della piccola repubblica mediterranea, divisa in due dal 1974, avrà il difficile compito di smorzare quella che si preannuncia la più grande “dieta economica” che si ricordi nella storia dell’Europa. Gli altri 16 Paesi dell’Eurozona a marzo dovrebbero decidere il salvataggio finanziario di Cipro che, ormai, sta terminando le risorse per pagare i conti. A tutto questo si aggiunge lo scetticismo che, senza mezzi termini, ha più volte dimostrato la Germania. Un altro salvataggio, dopo quello della Grecia, non piace alla cancelliera Merkel né alla Spd.
I problemi di Nicosia sono legati a filo doppio a quelli di Atene. L’esposizione cipriota verso la Grecia, tra titoli di debito pubblico e prestiti alle aziende elleniche, nel 2011 ammontava a 29 miliardi, il 160% del Pil dell’isola. Ma secondo gli analisti, a questa montagna di euro si aggiungono tanti altri, in modo meno trasparente, che porterebbero l’esposizione a oltre 150 miliardi. Lo scorso giugno Cipro ha chiesto alla Ue 17,7 miliardi di aiuti: 10 per il settore bancario, 6 per ripagare il debito pubblico e 1,7 per la spesa statale. Per tutta risposta Bruxelles ha chiesto una stretta sulle banche, una seria riforma delle pensioni e un rigido piano di privatizzazioni. Pur avendo già concordato un programma quadriennale con la Troika (Ue, Fmi e Bce), il governo dovrà fare i conti con i sindacati che hanno definito il piano “una macelleria sociale”. In questo scenario dovrà inserirsi il nuovo capo dello Stato. Tutti gli analisti danno per certa la vittoria del conservatore Anastasiades ai danni del progressista Malas (domenica scorsa hanno ottenuto rispettivamente il 45,4% e il 26,9% dei consensi). Anastasiades in campagna elettorale ha ribadito la necessità di concordare con la Ue un salvataggio del Paese ma evitando tagli indiscriminati. Se pur apparentemente rigidi, i partner europei sanno bene che Cipro non può essere abbandonata al suo destino. E agli amici russi. Proprio così.
Il paradiso fiscale immerso nel Mediterraneo è da tempo terra di attrazione per i magnati putiniani. Sull’isola i russi residenti sono oltre 50 mila con oltre 20 miliardi di euro depositati nelle banche cipriote (il Pil del 2012 è stato di 17,6 miliardi). Mosca ha già prestato al governo di Nicosia 2,5 miliardi di euro. Oltre al suo allettante ruolo di investimenti di capitali di dubbia provenienza, Cipro è anche la finestra europea sul Medioriente e sulle sue crisi (prima tra tutte quella siriana). Anastiasiades potrebbe essere la persona giusta per riprendere le relazioni con Ankara e arrivare alla riunificazione dell’isola. I negoziati sono arenati da tempo ma, con la richiesta di Cipro di aderire alla Nato (dove è importante il peso della Turchia), tutto potrebbe essere accelerato. Nicosia potrebbe essere il “portavoce” dei 27 nella gestione del futuro della Siria, nei rapporti con l’Iran e nel braccio di ferro con Mosca sul destino di Assad. E se il prezzo di tutto questo dovesse essere il salvataggio economico di Nicosia, sono in molti a scommettere che alla fine i ciprioti e le banche tireranno un sospiro di sollievo.
Una boccata di ossigeno che si “mischierebbe” a quella di gas. Cipro, infatti, ha una quantità di gas che si aggira sui 3 mila miliardi di metri cubi. Sono già 15 le compagnie petrolifere che si sono messe in coda per quello che sembra l’affare del secolo. Tra i competitori vi è anche la russa Gazprom. Nella partita per il controllo dei giacimenti l’Europa, ovviamente, è quella che ha gioco più facile. Ma anche in questo caso dovrebbe pagare dazio, chiudendo un occhio sui “furbetti delle banche” e agevolando oltremodo il salvataggio economico dell’isola. Un prezzo che anche Merkel potrebbe voler pagare.